Gli Agrapha di Gesù

Cristo trionfante con i simboli dei quattro evangelisti. Da qui.

Con il termine agrapha (al singolare agraphon, “non scritto”) si indicano quei detti attribuiti a Gesù che non compaiono nei Vangeli (canonici o apocrifi). Queste frasi sono disseminate negli scritti neotestamentari, nelle opere dei Padri della Chiesa e in quelle di autori islamici medievali, e senza dubbio questa dispersione ha contribuito a renderle poco conosciute fino ad oggi.

La questione su cui si interrogano gli studiosi è quella dell’autenticità degli agrapha: questi detti sono stati semplicemente attribuiti a Gesù, oppure sono davvero parole sue, “sfuggite” ai redattori dei Vangeli? Chiaramente, è solo in quest’ultimo caso che potremmo parlare di agrapha “autentici”.

È probabile che gli evangelisti, per i loro resoconti, abbiano attinto sia a materiale trasmesso per via orale, sia a documenti scritti (ciò si evince dalla prefazione al Vangelo di Luca). Chiaramente, non tutto ciò che Gesù ha detto è stato messo per iscritto; alcune parole, però, potrebbero essere confluite in “raccolte di detti” (come il Vangelo di Tommaso), mentre altre potrebbero essere state trasmesse oralmente di generazione in generazione, fino a comparire nelle opere di scrittori molto posteriori. L’esistenza di una tradizione orale “parallela” alle Scritture è attestata da Clemente Alessandrino, teologo cristiano vissuto all’incirca tra il 150 e il 215.

Quale che sia la loro origine, queste frasi meritano comunque attenzione; ho pertanto deciso di presentarne una piccola raccolta in questo articolo. Ad alcuni detti (in particolare quelli arabi) sono associati dei brevi commenti per evidenziarne gli eventuali collegamenti con i Vangeli o con altri testi canonici.

Il Nuovo Testamento

Sebbene, come abbiamo detto, gli agrapha siano frasi di Gesù non riportate nei Vangeli, alcuni di essi sono “nascosti” proprio nei Vangeli: sono, infatti, assenti nelle versioni che noi leggiamo, ma presenti in altri manoscritti. Per esempio, nel Codice Washingtoniano, risalente al IV-V secolo, il Vangelo di Marco, dopo 16, 14, prosegue con il seguente brano (noto come Logion di Freer, dal nome del collezionista americano che per primo acquistò il codice):

Ed essi [gli apostoli] si giustificavano dicendo: “Questo secolo di iniquità e di incredulità è sotto (il dominio) di Satana che non permette che chi è sotto il giogo degli spiriti impuri afferri la verità e la potenza di Dio. Rivela dunque fin d’ora la tua giustizia”. Questo è quanto essi dicevano a Cristo. E Cristo rispose loro: “Il termine degli anni del potere di Satana è giunto al compimento, e tuttavia altre terribili cose sono vicine. È per coloro che hanno peccato ch’io sono stato dato alla morte, affinché si convertano alla verità e non pecchino più, affinché ereditino la gloria spirituale e incorruttibile della giustizia che è nel cielo”.

Codice Washingtoniano, in Mc 16, 14

Nel Codice di Beza, invece, nel Vangelo di Luca, dopo 6, 4, si trova questo brano:

Nel medesimo giorno, vedendo un tale che lavorava di sabato, gli disse: “O uomo, se tu sai ciò che fai, sei beato; ma se non lo sai, sei un maledetto e un trasgressore della legge”.

Codice di Beza, in Lc 6, 4

Altri agrapha del Nuovo Testamento si trovano negli Atti degli apostoli e nelle lettere di Paolo. Secondo molti studiosi, queste ultime sono perfino più antiche dei Vangeli, mentre l’autore degli Atti è lo stesso del Vangelo di Luca; è probabile, quindi, che i detti riportati in questi scritti siano “genuini”, e forse attinti da fonti orali. Ecco un esempio tratto dagli Atti degli apostoli (chi parla è San Paolo):

In tutte le maniere vi ho dimostrato che lavorando così si devono soccorrere i deboli, ricordandoci delle parole del Signore Gesù, che disse: “Vi è più gioia nel dare che nel ricevere!”.

At 20, 35

Nell’Apocalisse, infine, troviamo quest’altro agraphon:

Ecco, io vengo come un ladro. Beato chi è vigilante e conserva le sue vesti per non andar nudo e lasciar vedere le sue vergogne.

Ap 16, 15

Lo stesso paragone si trova nel Vangelo: “Se il padrone di casa sapesse in quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa. Perciò anche voi siate pronti, perché nell’ora che non immaginate, il Figlio dell’uomo verrà” (Mt 24, 43-44). È quindi molto probabile che l’autore dell’Apocalisse conoscesse questo brano o addirittura avesse udito lui stesso questa frase (se, come vuole la tradizione, si trattava di San Giovanni apostolo).

L’Ultima Cena in una miniatura tratta dal Codice Bruchsal (1220 circa).

La letteratura patristica

Altri detti attribuiti a Gesù si trovano nella letteratura subapostolica e nelle opere dei Padri della Chiesa. Poiché queste opere risalgono ad epoche piuttosto vicine a quella di Gesù, è probabile che gli autori abbiano attinto a fonti “di prima mano” (scritte o orali) e che quindi molti di questi agrapha rientrino tra quelli “autentici”. Vediamo dunque qualche esempio.

La Didaché, risalente all’incirca alla fine del I secolo, riporta il seguente brano, non attestato nella Bibbia; potrebbe pertanto trattarsi di un agraphon di Gesù:

E a questo riguardo è pure stato detto: “Si bagni di sudore l’elemosina nelle tue mani, finché tu sappia a chi la devi fare”.

Didaché, 1, 6

Nella Lettera di Barnaba (di datazione incerta, ma scritta presumibilmente tra il I e il II secolo) è riportato questo agraphon, che ricorda un passo degli Atti degli apostoli (14, 22):

Così dice: “Coloro che vogliono vedermi e conseguire il mio regno, è necessario che mi raggiungano tribolati e sofferenti”.

Lettera di Barnaba, 7, 11

Nella Prima Lettera di Clemente, attribuita a Papa Clemente I (morto alla fine del I secolo), si trova il seguente brano, che ricorda molto da vicino alcuni passi evangelici (Mc 4, 24; Lc 6, 37-38):

Così disse: “Siate misericordiosi per ottenere misericordia; perdonate per essere perdonati; come farete agli altri, così sarà fatto a voi; come date, così sarà dato a voi; come giudicate, così sarete giudicati; la bontà che usate, sarà usata; la misura con la quale misurate, sarà di misura per voi”.

Prima Lettera di Clemente, 13, 2

Clemente Alessandrino, già citato nell’introduzione di questo articolo, riporta parecchi agrapha di Gesù. Ecco un paio di esempi:

Disse: “Hai visto tuo fratello? Hai visto il tuo Dio”.

Miscellanea, I, 19, 94; II, 15, 70

E il Signore disse: “Voi che volete, uscite dalle catene!”.

Miscellanea, VI, 6, 44

In Ippolito (170-235) troviamo questo brano:

Mentre Gesù ragionava con i suoi discepoli sul futuro regno dei santi e considerava quanto sarà mirabile e glorioso, stupito di tale descrizione, Giuda domandò: “E chi potrà credere queste cose?”. Ma il Signore rispose: “Queste cose le vedranno coloro che ne saranno divenuti degni”.

Commento a Daniele, IV, 60

Origene (185-254) riporta il seguente agraphon:

Perciò, dice il Salvatore: “Chi è vicino a me, è vicino al fuoco. Chi è lontano da me, è lontano dal regno”.

Omelie su Geremia, L. I (III), 3

Questo detto è identico al logion 82 del Vangelo di Tommaso, e rinforza l’ipotesi che alcuni agrapha facessero parte di testi ormai andati perduti. Origene afferma di aver letto questo detto “da qualche parte”, ma non specifica il testo, né è sicuro che la frase sia stata effettivamente pronunciata da Gesù. Sebbene alcuni Padri della Chiesa (compreso lo stesso Origene) menzionino nelle loro opere il Vangelo di Tommaso, probabilmente questo vangelo era già andato perduto e il suo contenuto era noto solo grazie a citazioni indirette.

Infine, un detto tratto da uno scritto dello “Pseudo Clemente” (ovvero attribuito a Clemente I, ma in realtà di molto posteriore):

Il Signore nostro Gesù Cristo disse: “È necessario che vengano le cose buone; beato colui per mezzo del quale verranno”.

Epitome, I, 96
La trasfigurazione di Gesù in una miniatura del XIV secolo. Da qui.

Le fonti islamiche

Nella letteratura islamica (a partire dal Corano) troviamo una grande quantità di agrapha: Sabino Chialà e Ignazio de Francesco, nel libro I detti islamici di Gesù, ne hanno raccolti ben 383. I testi che riportano questi detti sono tutti posteriori al VII secolo, e più sono distanti dall’inizio dell’era cristiana, più gli agrapha da essi riportati appaiono distanti da quelli evangelici. Inoltre, il “Gesù” di questi detti ha perso molte delle sue caratteristiche prettamente cristiane; gli stessi termini “Cristo” o “Messia”, a lui associati, hanno ormai smarrito il loro significato originario per diventare dei semplici appellativi. Tuttavia, come vedremo, gli agrapha arabi conservano una certa dipendenza dagli scritti cristiani, sia canonici che apocrifi. Di seguito sono riportati alcuni di questi detti, raggruppati per argomento.

Negli agrapha islamici, uno dei temi più ricorrenti è la contrapposizione (che sfocia addirittura nell’incompatibilità) tra Dio e il mondo. Ecco qualche esempio:

Gesù figlio di Maria ha detto: “Il mondo è una piantagione del diavolo e la sua gente i suoi braccianti”.

Al-Jahiz, Il libro dell’eloquenza e della dimostrazione, 3, 157

Gli apostoli chiesero a Gesù: “Spirito di Dio, insegnaci anche solo un’opera che ci renda amati da Dio”. Rispose: “Odiate il mondo e Dio vi amerà”.

Ibn Abi al-Dunya, Il libro del biasimo del mondo, 2, 170 n. 415

Gesù ha detto: “Questo mondo in rapporto all’altro è come quell’uomo che ha due concubine: se ne soddisfa una irrita l’altra”.

Al-Kharkushi, Il libro dell’istruzione dei cuori, f. 257b

Si tratta di un tema presente anche nel Nuovo Testamento, dove è espresso in termini molto simili: il primo detto, ad esempio, ricorda sia la definizione del diavolo come “principe del mondo” (Gv 12, 31; 14, 30), sia la ben nota parabola del grano e della zizzania, in cui il mondo è paragonato proprio a un campo dove il diavolo ha “seminato” i suoi figli (Mt 13, 38-39). Nelle parole del secondo detto sembra riecheggiare l’ammonimento di San Giovanni apostolo: “Non amate né il mondo, né le cose del mondo! Se uno ama il mondo, l’amore del Padre non è in lui” (1 Gv 2, 15). Il terzo agraphon, invece, appare chiaramente ispirato al passo evangelico dove Gesù fa notare l’impossibilità di servire contemporaneamente due padroni, “Dio e mammona” (Mt 6, 24; Lc 16, 13).

Altri detti ribadiscono l’importanza della sapienza ed esortano a metterla in pratica:

Gesù figlio di Maria ha detto: “Non hai utilità nel conoscere ciò che ancora non sai mentre non hai ancora messo in pratica ciò che già sai. Davvero l’abbondanza del sapere non aggiunge che alterigia se non la metti in pratica”.

Ibn Hanbal, Il libro della rinuncia, 98, 327

Si riporta che Gesù figlio di Maria abbia detto: “Quale beneficio per il cieco portare una lampada della cui luce si avvale solo un altro? E quale beneficio per una casa al buio il fatto che la lampada stia sul tetto? Cosa vi giova dunque parlare della sapienza se non la praticate?”.

Al-Samarqandi, Ammonizione dei negligenti, 156

Gesù ha detto: “Colui che apprende la scienza senza metterla in pratica è come una donna che ha fornicato in segreto ed è rimasta incinta; poi la sua gravidanza è divenuta evidente ed essa è stata disonorata pubblicamente. Similmente colui che non pratica la propria scienza, Dio lo disonorerà alla vista di tutti nel giorno del giudizio”.

Al-Ghazali, La rivivificazione delle scienze religiose, I, 69

L’invito a non occultare la propria conoscenza si trova già nell’Antico Testamento: “Sapienza nascosta e tesoro invisibile: a che servono l’una e l’altro?” (Sir 20, 30). Nel Vangelo (Mt 7, 24-27), Gesù contrappone chi mette in pratica le sue parole (l’uomo saggio che edifica “sulla roccia”) e chi si limita ad ascoltarle (l’uomo stolto che costruisce “sulla sabbia”). L’eco della tradizione evangelica è evidente in particolare nel secondo detto, dove ritroviamo sia l’immagine della guida cieca (Mt 23, 24) sia quella della lucerna nascosta (Mt 5, 15; Lc 11, 33). Quella della donna incinta, che incontriamo nel terzo agraphon, è invece sconosciuta ai Vangeli. Tuttavia, un paragone analogo si trova nella Lettera di Giacomo (1, 23-24): “Se uno ascolta soltanto e non mette in pratica la parola, somiglia a un uomo che osserva il proprio volto in uno specchio: appena s’è osservato, se ne va, e subito dimentica com’era”.

Gesù insegna ai suoi discepoli, in una miniatura tratta da un evangeliario arabo del 1684.

Vi sono anche diversi agrapha che mettono in guardia dalla maldicenza:

Gesù figlio di Maria passò presso il cadavere di un cane insieme agli apostoli, che gli dissero: “Quanto puzza questo!”. “Quanto bianchi i suoi denti!”, replicò, ammonendoli e proibendo loro la maldicenza.

Ibn Abi al-Dunya, Il libro del silenzio, 385-386, n. 297

Un porco passò presso Gesù figlio di Maria, che gli disse: “Passa in pace”. Gli fu chiesto: “Spirito di Dio, è a questo porco che lo dici?!”. Rispose: “Detesto abituare la mia lingua al male”.

Ibn Abi al-Dunya, op. cit., 392, n. 308

Questi due detti, riportati dallo stesso autore, non hanno paralleli nei Vangeli. È da notare che presso i musulmani, sia il cane che il maiale sono considerati impuri; per l’autore dovevano quindi rappresentare due ottimi esempi di come fosse possibile trovare il “buono” ovunque.

Ecco altri agrapha su vari argomenti:

Cristo figlio di Maria ha detto: “Il mondo è un ponte: transitatelo senza prendervi dimora”.

Ibn Qutayba, Le fonti delle notizie, 2, 328

Si tratta di uno dei detti arabi più noti; tuttavia, alcuni autori islamici attribuiscono questa frase ad altri personaggi anziché a Gesù. Alcuni vedono come possibile fonte di questo agraphon il logion 42 del Vangelo di Tommaso, in cui Gesù invita ad essere “come passanti”. La metafora del ponte rafforza la visione del mondo come un luogo di passaggio.

Gesù ha detto: “Beato chi parla all’orecchio di gente che presta ascolto a quanto dice. Non v’è elemosina più remunerata presso Dio di una esortazione in virtù della quale la gente giunge al paradiso”.

Al-Isfahani, L’ornamento degli amici di Dio e le classi dei puri, 3, 36

Questo detto presenta l’ammonizione dei peccatori (inserita dalla Chiesa tra le sette opere di misericordia spirituale) come una forma di elemosina, anzi, la migliore elemosina possibile. Un concetto simile è espresso nei versetti finali della Lettera di Giacomo (5, 19-20): “Fratelli, se uno di voi si allontana dalla verità e un altro ve lo riconduce, costui sappia che chi riconduce un peccatore dalla sua via di errore, salverà la sua anima dalla morte e coprirà una moltitudine di peccati”.

Gesù ha detto: “Non mi è stato impossibile riportare in vita i morti, ma mi è stato impossibile guarire lo stupido”.

Al-Ghazali, Lettera a un discepolo, 35, 2

Questo detto non ha paralleli nei Vangeli, ma alcuni brani veterotestamentari si esprimono in maniera simile sull’inutilità di discutere con gli stupidi (Sir 22, 7-15): “Incolla cocci chi ammaestra uno stolto… La vita dello stolto è peggiore della morte… Non frequentare l’insipiente; ottuso qual è, riterrà nulle tutte le tue cose”.

Tra gli agrapha arabi sono compresi anche molti brevi racconti che hanno Gesù ed altri personaggi evangelici come protagonisti. Concludiamo la nostra rassegna con uno di questi racconti; sebbene il testo non abbia paralleli nei Vangeli, il suo significato è coerente col messaggio evangelico, in quanto rappresenta un invito alla conversione. Ecco il brano:

Mentre Gesù si trovava seduto con gli apostoli giunse un uccello bellissimo, dalle ali di perla e giacinto, e prese a zampettare davanti a loro. Gesù disse: “Lasciatelo, non mettetelo in fuga, poiché esso è un segno che vi è stato inviato”. Quello allora si spogliò del suo aspetto esteriore e uscì fuori tignoso, di un orribile color rosso. Raggiunse una pozza e si imbrattò nella sua mota: uscì nero ripugnante. Si diresse poi verso l’acqua corrente e si lavò, ritornò alle sue parvenze esteriori e se ne rivestì; gli tornò la sua bellezza e il suo decoro. Gesù disse: “Costui vi è stato mandato come segno, poiché a esso è simile il credente: quando si insudicia nei peccati e nelle trasgressioni è spogliato della sua bellezza e del suo decoro; quando poi ritorna a Dio gli ritornano bellezza e decoro”.

Al-Isfahani, op. cit., 6, 20

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