Le Liste Reali Egizie

Pannello ligneo di un sarcofago risalente al periodo romano (30 a.C.-395 d.C.), raffigurante vari dèi del pantheon egizio: da sinistra, Thoth, Osiride, Anubi, Horus, Iside e Nefti. Secondo il mito, Osiride (qui raffigurato su un trono) regnò sull’Egitto in tempi remoti. Da qui.

Introduzione

Senza dubbio, quella egizia è una delle civiltà più affascinanti che la Storia ricordi. E non soltanto per l’imponenza dei monumenti, la bellezza delle opere d’arte e la qualità degli oggetti preziosi che essa ci ha lasciato in eredità, ma anche per l’alone di mistero che da essa trapela. Molti sono infatti gli enigmi a cui gli egittologi non sono ancora riusciti a dare una risposta, o a cui hanno dato risposte poco convincenti: da dove venivano gli Egizi? Sono stati loro a costruire la Sfinge e le Piramidi di Giza? Se sì, come hanno fatto? E a quando risale la loro costruzione? E così via.

Uno degli argomenti più dibattuti fra gli egittologi è quello che riguarda la cronologia dell’Antico Egitto. Ciò potrebbe sembrare strano, dal momento che abbiamo a disposizione diverse liste reali che elencano i nomi dei faraoni e le durate dei loro regni. In realtà, la faccenda non è così semplice, poiché i vari elenchi differiscono tra loro, soprattutto per quanto riguarda la durata dei regni; non è chiaro, inoltre, se i faraoni abbiano regnato uno dopo l’altro oppure (più verosimilmente) se alcuni di loro abbiano regnato contemporaneamente in luoghi diversi. Per questo motivo sono state proposte molte cronologie: si va da quelle “estremamente lunghe”, dove la I dinastia (il cui capostipite era il faraone Menes) avrebbe avuto inizio intorno al 5700 a.C., a quelle “cortissime”, che collocano l’inizio della I dinastia verso il 2800 a.C. La maggior parte delle cronologie tende a collocare il regno di Menes verso il 3100 a.C.

Non è mia intenzione spendere ulteriori parole sulla cronologia delle varie dinastie, su cui sono stati già versati fiumi d’inchiostro. Vorrei piuttosto concentrarmi sulla cronologia predinastica, che riguarda i sovrani succedutisi prima di Menes. Stando a quanto riportato da diverse fonti, il periodo predinastico non solo è stato più lungo di quello dinastico, ma affonda le sue radici in un’antichità estrema, quando a regnare erano gli dèi “in carne e ossa”. Queste affermazioni possono sembrare incredibili, ma a loro sostegno stanno emergendo prove sempre più convincenti, che cercheremo di esaminare in questa breve indagine. Cominceremo però, ovviamente, dall’analisi delle fonti scritte.

Le fonti

I principali testi che ci parlano dell’Egitto predinastico (e di quello “mitologico”) sono i seguenti:

  1. La Biblioteca Storica di Diodoro Siculo;
  2. Le Storie di Erodoto;
  3. Gli Aegyptiaca di Manetone;
  4. Il Papiro di Torino.

Vediamoli uno per uno.

1) La Biblioteca Storica di Diodoro Siculo.

Quest’opera, risalente al I secolo a.C., è particolarmente preziosa per lo studioso di mitologia, poiché oltre a descrivere le vicende storiche e i costumi dei vari popoli dell’epoca, passa in rassegna anche i loro miti più importanti. La Biblioteca Storica ci è giunta incompleta, ma per fortuna il libro I, interamente dedicato all’Egitto, ci è pervenuto integro.

A I, 11-12 Diodoro parla degli dèi egizi: Osiride (che rappresenta il Sole), Iside (la Luna), Ptah (il fuoco), e così via. Successivamente, però (I, 13), dice che ci furono altri dèi, terrestri, che regnarono sull’Egitto; secondo alcuni avrebbe regnato per primo Elio (Atum/Ra), mentre secondo altri Efesto (Ptah), che avrebbe scoperto il fuoco. In seguito avrebbe regnato Crono (Geb), che con la sorella Rea (Nut) avrebbe generato Zeus ed Era (mentre secondo altri Osiride e Iside), dai quali sarebbero nati cinque dèi: Osiride, Iside, Tifone (Seth), Apollo (Horus) e Afrodite (Nefti). Osiride corrispondeva al Dioniso greco, mentre Iside a Demetra. Diodoro parla poi (I, 14 e sgg.) delle imprese di questi dèi: Iside scoprì il frumento e l’orzo, mentre Osiride scoprì come coltivarli, facendo così desistere gli uomini dal cannibalismo; egli fu anche il primo a produrre il vino. Iside, inoltre, stabilì per prima le leggi. Anche Ermes (Thoth) ebbe un’importante funzione civilizzatrice: scoprì l’olivo, inventò fra le altre cose la lira e l’alfabeto e fu assunto come scriba da Osiride. In seguito Osiride, messo insieme un grande esercito, partì per visitare “tutta quanta la terra abitata” ed insegnare l’agricoltura.

Dalla descrizione che viene fatta degli dèi, si evince chiaramente che essi fossero a tutti gli effetti esseri in carne e ossa, probabilmente appartenenti ad una razza umana oggi estinta (perlomeno su questo pianeta) e, come vedremo fra poco, molto più longeva della nostra. È improbabile che furono loro a “scoprire” o “inventare” la civiltà: al contrario, è molto facile che la loro “razza” disponesse già di conoscenze che essi poi trasmisero ai “comuni mortali” (noi). Ritorneremo più avanti su questo argomento.

Per quanto riguarda la cronologia, troviamo diverse informazioni interessanti: per esempio, secondo alcuni Egiziani dall’epoca di Osiride fino al regno di Alessandro Magno (IV secolo a.C.) erano trascorsi “poco più di diecimila anni” mentre secondo altri “poco meno di ventitremila” (I, 23). Più avanti (I, 26) viene detto che da Elio (non da Osiride, quindi) ad Alessandro passarono circa ventitremila anni, e che “gli dèi più antichi regnarono più di milleduecento anni, mentre quelli delle generazioni successive non meno di trecento [in entrambi i casi si intende “a testa”]”; Diodoro comunque si mostra scettico su queste cifre e avanza alcune ipotesi per ridurle a valori più “umani”. Infine, più oltre (I, 44), leggiamo che “dapprima governarono l’Egitto dèi ed eroi per poco meno di diciottomila anni” e che l’ultimo dio a regnare fu Horus; successivamente, regnarono uomini “per poco meno di cinquemila anni fino alla centottantesima Olimpiade [fra il 60 e il 56 a.C.]”.

Il dio Ptah (Efesto per i Greci) raffigurato nella tomba di Nefertari, risalente alla XIX dinastia (circa XIII secolo a.C.). Da qui.

2) Le Storie di Erodoto.

L’opera di Erodoto è più antica di quella di Diodoro Siculo: risale infatti al V secolo a.C. Erodoto non indugia molto nel raccontare i miti dei popoli di cui parla; nondimeno, alcuni passi del libro II, dedicato all’Egitto, potrebbero risultarci utili e pertanto li riportiamo qui.

Riguardo al numero degli dèi, Erodoto riporta (II, 145) la credenza egiziana secondo cui si erano succeduti tre “gruppi” di divinità, il primo formato da otto dèi (tra cui ad esempio Pan) e il secondo da dodici (tra cui Eracle), mentre del terzo (che comprendeva Dioniso, ovvero Osiride) non viene riportato il numero. Nella mitologia egizia effettivamente troviamo l’Ogdoade, un gruppo di otto dèi vissuti in un tempo primordiale, e l’Enneade, un gruppo di nove dèi generati dal dio Atum (il Sole). Il fatto che Erodoto parli di dodici (e non nove) dèi potrebbe essere dovuto al fatto che città diverse avevano liste di dèi diverse: per esempio, l’Enneade di Abido comprendeva sette dèi, mentre quella di Karnak quindici. Il numero nove non era dunque un numero fisso. Riguardo al terzo gruppo, forse comprendeva in realtà anche i semidei di cui parlava Diodoro Siculo? Erodoto ci fornisce anche informazioni cronologiche: da Dioniso al re Amasi (VI secolo a.C.), secondo gli Egiziani, erano trascorsi 15.000 anni (II, 145). Prima (II, 43) egli aveva accennato al fatto che “da quando gli dèi divennero da otto dodici” fino al regno di Amasi erano trascorsi 17.000 anni. E ancora, riporta che “dal primo re” ad un sacerdote di Efesto contemporaneo al re assiro Sennacherib (VIII-VII secolo a.C.) c’erano state “341 generazioni di uomini” (II, 142); egli calcola il periodo trascorso considerando che 100 anni corrispondano a tre generazioni. Il risultato che ottiene è di 11.340 anni, peraltro inesatto: con una generazione = 33 anni + 1/3 avrebbe dovuto ottenere circa 11.366 anni.

3) Gli Aegyptiaca di Manetone.

L’opera di Manetone, risalente forse al III secolo a.C. (sebbene alcuni la collochino, insieme al suo autore, intorno al I secolo a.C.), è purtroppo andata perduta. Tuttavia, alcuni stralci sono giunti fino a noi grazie alle citazioni di altri autori, in particolare il vescovo Eusebio di Cesarea, vissuto tra il III e il IV secolo, e il monaco Giorgio Sincello, vissuto tra l’VIII e il IX secolo. Manetone fu il primo a raggruppare i faraoni egiziani in dinastie, 30 in totale. Prima di Menes, dèi e semidei avrebbero regnato per secoli: secondo quanto riporta Eusebio nella sua Cronaca, avrebbero regnato dapprima gli dèi (primo fra tutti Efesto) per 13.900 anni, poi i semidei per 1255 anni, in seguito tre serie di re 1817, 1790 e 350 anni, e infine (prima dei re “storici”) le “ombre” (cioè gli spiriti dei morti) per 5813 anni, per un totale di 24.925 anni. Eusebio però preferisce interpretare gli anni come mesi lunari per conciliare queste date con la cronologia biblica, assai più corta.

Sincello, nella Selezione di Cronografia, rifacendosi a un certo “Libro di Sothis” (attribuito a Manetone), fornisce una cronologia un po’ diversa: sei dèi avrebbero regnato per 11.985 anni, mentre nove semidei per quasi 2600 anni. Tra gli dèi, Efesto avrebbe regnato per 9000 anni, Crono per 1000, mentre gli dèi successivi da 700 a 350 anni circa. I semidei (tra cui Horus, Anubi, Eracle…) avrebbero regnato in media quasi 300 anni a testa. Sincello, inoltre, cita “un’antica cronologia” (FGrHist 610 F2), da lui ritenuta una delle possibili fonti di Manetone, che abbracciava un periodo di ben 36.525 anni. Questa lista assegnava 30.000 anni di regno ad Elio, 4168 anni agli altri dèi e 217 anni ai semidei, proseguendo poi con le dinastie storiche. Efesto, il primo degli dèi elencato, non aveva un periodo assegnato, poiché “splende notte e giorno”.

A differenza di Eusebio, Sincello non tenta nemmeno di ricondurre le cronologie egizie a quella biblica: semplicemente, rigetta le prime considerandole totalmente false, poiché volte secondo lui ad attribuire al popolo egiziano un’antichità enormemente maggiore di quella reale.

4) Il Papiro di Torino. Questo papiro, risalente all’epoca di Ramses II (XIII secolo a.C.) e conservato al Museo Egizio di Torino, riporta una lunga lista di regnanti, inclusi gli dèi. La parte riguardante i sovrani anteriori a Menes è molto lacunosa, ma fortunatamente si sono conservati frammenti recanti informazioni cronologiche: in alcuni di essi troviamo scritto che gli “spiriti” e gli “Shemsu Hor” (“Seguaci” o “Compagni di Horus”) regnarono per 13.420 anni, e si fa riferimento a un periodo, precedente agli Shemsu Hor, della durata di 23.200 anni, il che porterebbe la durata del periodo predinastico a ben 36.620 anni.

Qual è la cronologia “giusta”?

Abbiamo visto che le cronologie dell’Egitto predinastico (come del resto quelle dell’Egitto dinastico) sono fra loro discordanti: come stabilire, dunque, quella più vicina al vero?

A mio avviso, l’opera di Diodoro Siculo può aiutarci a risolvere l’enigma. Infatti, stando a quanto è riportato nella Biblioteca Storica, i principali dèi civilizzatori furono Osiride, Iside ed Ermes, tutti appartenenti alla stessa “generazione”. Eppure, prima di loro avevano regnato, fra l’altro per diversi secoli (come accennato a I, 26), anche altri dèi (Efesto, Crono…): possibile che loro invece non avessero “scoperto” nulla, ad eccezione del fuoco? Direi che non è credibile. È probabile, invece, che essi abbiano svolto una funzione civilizzatrice analoga: in seguito, però, un cataclisma fece regredire la civiltà, e tutte le conoscenze, tranne forse il fuoco, andarono perdute, finché non giunse un’altra generazione di dèi, tra i quali appunto Osiride, che le trasmise di nuovo (difatti nel mito egizio del diluvio non vengono menzionati gli dèi più “giovani”, proprio come se avessero fatto la loro comparsa solo dopo). In seguito questi dèi, svolto il loro compito civilizzatore, se ne andarono e lasciarono il posto ai semidei, la cui componente “divina” andò probabilmente riducendosi finché essi non diventarono a tutti gli effetti “umani” (forse da Menes in poi).

Dunque nella cronologia predinastica possiamo individuare almeno due periodi distinti: un primo periodo in cui a regnare erano solo gli dèi, e un secondo periodo – successivo a un diluvio – in cui regnarono dapprima gli dèi (a cominciare da Osiride e Iside), poi i semidei e infine gli uomini. Ma che dire sulla loro durata? Forse le due diverse datazioni del regno di Osiride e Iside di cui parla Diodoro a I, 23 potrebbero essere dovute proprio alla confusione tra questi due periodi: il secondo, quindi, quello in cui essi regnarono effettivamente, potrebbe aver avuto inizio “poco più di diecimila anni” prima dell’epoca di Alessandro Magno, ovvero intorno al 10.500 a.C. (secondo alcuni, la data di costruzione della Sfinge e delle Piramidi di Giza), mentre il primo “poco meno di ventitremila”, quindi verso il 23.000 a.C. Prima di questa data si verificò probabilmente un altro cataclisma (anch’esso un diluvio?), che spazzò via quasi del tutto la civiltà.

La Sfinge: rappresentava forse la costellazione del Leone (qui sovrapposta alla sua sagoma), in cui tra il 10.900 e l’8800 a.C. il sole sorgeva durante l’equinozio di primavera? In origine la Sfinge aveva probabilmente una testa leonina; quella umana, sproporzionata rispetto al corpo, fu realizzata in tempi più recenti.

Ma che dire allora di quelle fonti che retrodatano ulteriormente l’inizio della civiltà egizia? Abbiamo in un certo senso già risposto: probabilmente il cataclisma avvenuto prima del 23.000 a.C. cancellò quasi del tutto la civiltà “egizia” precedente. Un periodo di circa 36.500 anni è però significativo se confrontato con quelli appena citati (23.000, 10.500), perché indicherebbe che ogni 13.000 anni circa (la metà di un ciclo di precessione degli equinozi) succede qualcosa che causa massicci sconvolgimenti naturali. L’idea della ciclicità delle catastrofi si ritrova anche nel Timeo di Platone, in cui è proprio un sacerdote egizio ad asserire che “a regolari intervalli di tempo, quasi fosse una malattia, le cateratte del cielo si aprono [causando un diluvio]” (23a), specificando però che in Egitto, al contrario che in altri luoghi, la “razza umana” era sempre sopravvissuta a queste catastrofi, e ciò aveva consentito di conservare “le più antiche tradizioni” (22e-23a).

Pertanto, è possibile che intorno al 37.000 a.C. si sia verificato un ulteriore cataclisma, forse poi confuso con il successivo, e che solo alcune fonti abbiano serbato la memoria dei sovrani che regnarono dopo di esso e prima del 23.000 a.C. E forse è per questo che, come ci informa Diodoro, non c’era accordo su chi avesse regnato per primo fra gli dèi, se Efesto o Elio: il “periodo zero”, quello di Efesto (a partire forse dal 36.500 a.C.), sarebbe stato confuso con il “primo periodo”, quello di Elio (a partire dal 23.000 a.C.). L’esistenza di tre periodi distinti potrebbe spiegare anche l’accenno a tre gruppi di dèi da parte di Erodoto: essi sarebbero stati i sovrani succedutisi nel corso di queste tre epoche. Peraltro, sempre Erodoto riferisce che secondo gli Egiziani “per quattro volte il sole si spostò dalla sua sede, che da dove ora tramonta sorse due volte, e due volte viceversa” (II, 142). Questo è stato interpretato come un riferimento alla precessione degli equinozi: non sarebbe cambiato il punto cardinale dove il sole sorgeva al mattino, bensì la costellazione zodiacale in cui sorgeva all’equinozio di primavera. Da un ipotetico “punto zero”, cioè una determinata costellazione zodiacale, il sole sarebbe giunto nella costellazione opposta dopo circa 13.000 anni, sarebbe ritornato al “punto zero” dopo 26.000 anni e poi di nuovo nella costellazione opposta dopo 39.000 anni: un periodo decisamente simile a quello fornito dal Papiro di Torino e dalla “antica cronologia” di cui parla Sincello.

Tirando le somme, le varie cronologie sono meno discordanti di quanto si potrebbe pensare a prima vista: nonostante le differenze, infatti, tutte concordano nel collocare l’inizio della civiltà egizia molto addietro nel tempo, e in più d’una le date fornite collimano.

Da dove venivano gli Egizi?

Nel precedente articolo abbiamo accennato all’ipotesi di un’origine nordica degli Egizi. Questa ipotesi è supportata da diversi elementi:

  1. La toponomastica. Nell’area lappone troviamo diversi luoghi i cui nomi riconducono all’antico Egitto, per esempio la città di Kemi (Kemi era il nome copto dell’Egitto), il lago Giisa (Giisájávri), che ricorda la città di Giza, il lago Menes (Menesjarvi), il suo emissario fiume Menes (Menesjoki) e perfino due fiumi omonimi del Nilo (Nilijoki). Nella Finlandia meridionale troviamo invece la località di Sakkara, che ricorda la Saqqara egiziana;
  2. Le caratteristiche somatiche. È noto che alcuni faraoni avessero i capelli biondi o rossi, ed è stato mostrato che questa caratteristica non dipendeva dalle sostanze impiegate nel processo di mummificazione. Anche alcune statue ritraggono individui dalla pelle chiara e dai tratti squisitamente europoidi;
  3. L’affinità genetica tra Lapponi e Berberi. Questo studio ha mostrato come i Sami della Lapponia e i Berberi nordafricani siano fra loro imparentati: le similarità riscontrate nel loro DNA mitocondriale (trasmesso per via materna) suggeriscono una loro comune ascendenza;
  4. La mitologia. Alcuni miti egizi hanno delle spiccate caratteristiche “solari”: per esempio, il dio Ra mette in fuga ogni notte il serpente Apophis, proprio come, nel Nord Europa di 5000 anni fa, il sole, sorgendo, rendeva invisibile la costellazione del Dragone, che all’epoca indicava il Polo Nord celeste. Anche il celebre mito di Osiride (peraltro molto simile a quello finlandese di Lemminkainen), ucciso e fatto a pezzi da Seth e in seguito ricomposto, potrebbe alludere alla scomparsa del sole durante la notte polare e alla sua successiva “ricomposizione”: dapprima si alternano giorno e notte, poi – in prossimità del solstizio d’estate – il sole non tramonta mai. È molto probabile, quindi, che questi miti abbiano un’origine nordica: successivamente, l’incontro degli Indoeuropei con gli Egiziani potrebbe aver portato alla fusione, in un unico corpus, dei miti di entrambi i popoli; questo però è un argomento che necessiterebbe di uno studio a parte.
Particolare della statua raffigurante la principessa Nofret (“Bella”), vissuta durante la IV dinastia (circa 2600-2500 a.C.). Da qui.

Insomma, l’ipotesi di un’origine nordica degli Egizi parrebbe tutt’altro che “campata in aria”. Tuttavia, come avevamo già fatto notare, un’eventuale civiltà “egizia” sviluppatasi a quelle latitudini sarebbe stata con molta probabilità più primitiva di quella fiorita lungo le rive del Nilo; inoltre, le regioni scandinave si mantennero piuttosto inospitali all’incirca fino all’8000 a.C., quando iniziò il cosiddetto “optimum climatico”. Dunque, se in Egitto si installò un popolo indoeuropeo (cosa che sembra appunto verosimile), esso si inserì molto probabilmente in una civiltà già sviluppata, forse già antica di molti millenni. Ma dove collocare allora (nello spazio, ma anche nel tempo) le vicende riguardanti gli dèi egizi? In Egitto o in Scandinavia? Io propendo per la prima ipotesi, ma ciò non esclude la presenza simultanea, nelle regioni abitabili (cioè non ricoperte dai ghiacci) del Nord Europa, di altre civiltà.

Quanto è antica la civiltà egizia?

Nel capitolo 117 del De caelo di Simplicio, un filosofo bizantino del VI secolo, troviamo un’affermazione che ha dell’incredibile: “Ho sentito che gli Egiziani tengono scritte osservazioni delle stelle da non meno di 630.000 anni”.

Ora, un periodo del genere non è semplicemente “lunghissimo”: è letteralmente inconcepibile. Com’è possibile che l’esistenza di una civiltà si sia protratta così a lungo? Oltretutto a partire da un’epoca in cui, secondo le teorie attualmente accreditate, dell’Homo sapiens non c’era ancora neanche l’ombra!

Naturalmente, l’affermazione di Simplicio potrebbe essere una pura e semplice invenzione, oppure un errore, laddove i giorni sarebbero stati scambiati per anni (630.000 giorni corrispondono a circa 1726 anni). Tuttavia, pare che un’origine remotissima della civiltà egizia (e anche di altre civiltà) sia non solo plausibile, ma addirittura dimostrabile matematicamente. Non ci credete? Eppure questa è la sorprendente scoperta di un ricercatore indipendente che si firma “Mario Buildreps” (qui il suo sito). Ma andiamo con ordine e vediamo cosa porterebbe a queste conclusioni.

Sul globo terrestre si trovano tuttora disseminati moltissimi edifici (templi, piramidi, ecc.) la cui antichità non è mai stata stabilita con certezza: infatti, metodi di datazione come quello basato sul carbonio-14 sono applicabili solo su resti organici e non sulla pietra. Di questi edifici, però, possiamo facilmente determinare l’orientamento: per esempio, le Piramidi di Giza, il tempio di Angkor Wat in Cambogia e le costruzioni del sito messicano di Yaxchilan sono tutti orientati verso il Polo Nord geografico (da non confondersi con il Polo Nord magnetico), mentre altri edifici sembrano avere un orientamento casuale. In realtà, molti di essi sono orientati verso punti ben precisi: se ne possono individuare almeno quattro, disposti ad una certa distanza alla longitudine di 47,1° ovest. Ognuno di questi punti non sarebbe altro che un antico Polo Nord, spostatosi più volte in seguito a deformazioni della crosta terrestre.

La posizione dell’attuale Polo Nord geografico (Polo I) può essere determinata a partire dagli edifici orientati verso di esso: lo stesso processo permette di determinare la posizione di poli più antichi (qui indicati complessivamente come Polo II).

Ma quanto sarebbero antichi questi poli? Poiché ogni Era Glaciale sarebbe consistita, in realtà, proprio in una deformazione della crosta terrestre, mentre ogni periodo interglaciale in una fase di stabilità, i poli risalirebbero agli intervalli tra una glaciazione e l’altra (vedi qui per i dettagli). Dunque il Polo I (l’attuale) sarebbe antico di “soli” 26.000 anni; il Polo II (quello precedente) risalirebbe al periodo tra 155.000 e 130.000 anni fa; il Polo III a 225.000-210.000 anni fa; il Polo IV a 270.000-240.000 anni fa; il Polo V a 345.000-330.000 anni fa. Quindi, l’antichità di un edificio (o almeno delle sue fondamenta) potrebbe essere dedotta dal “polo” verso il quale è orientato: ciò vorrebbe dire che alcuni di essi sono antichi di centinaia di migliaia di anni!

Questo metodo si avvale anche – e soprattutto – della matematica: infatti, la mera constatazione dell’orientamento di un edificio non basta a provarne l’antichità, poiché un simile orientamento potrebbe anche essere casuale. Ma qual è la probabilità che decine di edifici (anche molto distanti fra loro) siano stati casualmente orientati verso punti geografici che oggi non hanno alcunché di particolare? Beh, diciamo che è piuttosto bassa: solo 1 su 750.000! Qui e qui il metodo è descritto nei dettagli.

Torniamo dunque all’Egitto (vedi qui). Esaminando l’orientamento dei templi e delle piramidi più importanti, ci accorgiamo che abbiamo edifici orientati verso il Polo I (es: Piramidi di Giza), verso il Polo II (es: Piramide di Elefantina), verso il Polo III (es: Piramide di Unas), verso il Polo IV (es: Monastero Rosso) e verso il Polo V (es: Ramesseo). Ma che significa tutto ciò? Semplice: che la civiltà egizia è rimasta “operativa” per ben 350.000 anni! Questo è senza dubbio un periodo estremamente lungo, ma è comunque “solo” poco più della metà di quello riferito da Simplicio. Tuttavia, in Egitto si trovano altri edifici talmente antichi da sfuggire alla sensibilità di questo metodo: alcuni di questi (per es. i templi di Dakka e di Kalabsha) potrebbero avere addirittura tra i 400.000 e i 600.000 anni! Ed ecco quindi che un periodo di 630.000 anni non sembra più così tanto “inconcepibile”…

Conclusioni

Proviamo dunque a ricostruire la storia della civiltà egizia tenendo conto dei dati che abbiamo raccolto. La divideremo, per semplicità, in cinque periodi:

  1. Periodo preistorico: il suo inizio si perde nella notte dei tempi (centinaia di migliaia di anni fa). Nonostante le – probabilmente moltissime – catastrofi naturali succedutesi in questo lungo lasso di tempo, la civiltà sopravvive e nei periodi più “tranquilli” prospera, costruendo molte delle strutture i cui resti si ritrovano ancora oggi, e la cui antichità è testimoniata dal loro orientamento rispetto all’attuale Polo Nord geografico;
  2. Periodo zero: dopo una catastrofe avvenuta intorno al 37.000 a.C., la civiltà egizia riparte quasi da zero; in questo periodo, identificabile con lo Zep Tepi (“Primo Tempo”) dei miti egizi, regnano gli otto dèi primordiali (Ogdoade), il più importante dei quali è Efesto (Ptah), che dona agli uomini il fuoco;
  3. Primo periodo predinastico: un altro cataclisma, verificatosi intorno al 24.000 a.C., riassesta un duro colpo alla civiltà, che tuttavia si riprende con l’aiuto di un altro gruppo di dèi (l’Enneade), tra i quali la figura di riferimento è Elio;
  4. Secondo periodo predinastico: inizia intorno al 10.500 a.C., dopo l’ennesima catastrofe (il Diluvio Universale?). Un terzo gruppo di dèi, tra cui Osiride e Iside, ripristina la civiltà in Egitto e la diffonde in tutto il mondo, per poi andarsene e lasciare il posto ai semidei, che regnano sull’Egitto per alcuni secoli;
  5. Periodo dinastico: dal regno di Menes in poi. Menes, il cui nome si ritrova in alcuni toponimi lapponi, potrebbe aver regnato proprio in questi luoghi, prima che – alcuni secoli dopo – gli “Egizi” nordici migrassero nella sede attuale, integrandosi con la civiltà già presente in loco, dove probabilmente già regnavano gli “umani”.

Questa, secondo la mia personalissima ricostruzione, la storia dell’antico, anzi (è proprio il caso di dirlo!) antichissimo Egitto.

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