Rockall: la Vera Atlantide

Rockall: solo uno scoglio che emerge dall’oceano? O l’unica reliquia di un’isola ormai diventata leggenda? Da qui.

Introduzione

Probabilmente tutti hanno sentito parlare almeno una volta dell’isola perduta di Atlantide. Ma forse non tutti conoscono l’origine di questa storia, che fu narrata per la prima volta da Platone, il celebre filosofo greco vissuto tra il 428 e il 347 a.C. Nelle sue opere Timeo e Crizia, strutturate in forma di dialoghi, egli racconta tramite uno dei personaggi, Crizia (realmente esistito: era fratello di suo nonno materno), la nascita, lo sviluppo e infine la rovinosa scomparsa della civiltà di Atlantide, causata dall’inabissarsi dell’isola nel mare.

È vero ciò che Platone racconta? E se sì, in che misura? In questa piccola ricerca assumeremo che Platone abbia detto il vero; in che misura esattamente non possiamo saperlo, poiché alcuni particolari non possono essere verificati e potrebbero essere frutto di fantasia. Ma il “nucleo” della storia, così come molti dettagli di essa, come vedremo sono tutt’altro che inverosimili e possono benissimo riferirsi a fatti realmente accaduti e, soprattutto, a un luogo realmente esistito: Atlantide, appunto.

Numerosi ricercatori hanno creduto al racconto di Platone ed hanno cercato di localizzare la mitica isola scomparsa. Ormai queste ipotesi di localizzazione si sprecano: giusto per citarne alcune, Atlantide è stata identificata con l’isola di Thera (oggi Santorini), con la Sardegna, con la Pianura Padana, con la Groenlandia, con la Bolivia, con il Sudest asiatico e perfino con l’Antartide. Chiaramente, alcune di queste ipotesi sono decisamente poco probabili: il luogo ipotizzato o non è un’isola (per esempio la Pianura Padana), o ha misure molto diverse rispetto a quelle indicate (per esempio Thera, troppo piccola), o si trova troppo lontano dai luoghi menzionati da Platone (per esempio l’Antartide, situata quasi all’altro capo del mondo), e così via.

Altri luoghi proposti, invece, come la Sardegna o la Groenlandia, sembrano rispecchiare meglio le caratteristiche dell’isola descritta nei due dialoghi. Tuttavia, come avremo modo di dimostrare, esiste un unico luogo sul globo terrestre che si adatti perfettamente alle descrizioni di Platone: si tratta dell’area di Hatton Rockall (d’ora in avanti, per semplicità, Rockall), situata nell’Atlantico settentrionale a nord-ovest dell’Irlanda ed oggi completamente sommersa ad eccezione di un singolo scoglio, l’isola di Rockall (sicuramente, un tempo, cima montuosa). Jonathan Northcote, un avvocato sudafricano, ha pubblicato recentemente un ottimo libro dove fornisce numerose argomentazioni a sostegno di questa ipotesi; altro lavoro interessante, sebbene piuttosto “eccentrico”, è quello dell’ingegnere americano Stuart L. Harris (prima, seconda, terza, quarta parte), che si concentra sugli eventi che avrebbero portato alla sommersione dell’isola.

Tramite Google Earth è possibile notare una vasta regione sommersa a nord-ovest dell’Irlanda. L’isola di Rockall emerge dalla parte a nord-est di questa regione.

In questo studio ci occuperemo soprattutto degli elementi che permettono la localizzazione (nel tempo e nello spazio) di Atlantide; non tratteremo invece i meccanismi di sommersione, per i quali rimando ai due lavori sopra citati.

Il racconto di Platone

Di Atlantide si parla sia nel Timeo (20d-26e), in maniera sintetica, sia nel Crizia (108d-121c), più diffusamente. In entrambi i dialoghi la storia è narrata da Crizia, che l’aveva appresa da suo nonno (anch’egli di nome Crizia), il quale a sua volta l’aveva appresa da Solone, parente di suo padre. Solone era venuto a conoscenza di questi fatti durante un viaggio in Egitto, nella città di Sais, all’epoca del re Amasi (circa 569 a.C.). Là, parlando con i sacerdoti di eventi antichi, aveva notato che i Greci erano tutt’altro che “esperti” in materia. Un vecchio sacerdote allora gli spiegò che ciò era dovuto ai numerosi cataclismi succedutisi nel corso dei secoli, che avevano più volte cancellato la civiltà e quindi anche la memoria degli eventi più antichi. E aggiunse che un tempo, ben 9000 anni prima di quell’epoca (quindi nel 9600 a.C. circa), la città di Atene (di cui Solone era originario) era sede di una civiltà evoluta che compì grandi imprese: tra queste, una guerra contro Atlantide, un’isola situata al di là delle Colonne d’Ercole, conclusasi con la sconfitta di quest’ultima. In seguito, però, terremoti e cataclismi distrussero entrambe le civiltà e Atlantide sprofondò nel mare.

Questa, a grandi linee, è la storia narrata nel Timeo. Il Crizia accenna brevemente alla guerra tra Atene e Atlantide e ai successivi cataclismi, ma poi si dilunga sulla descrizione dell’Atene preistorica e, soprattutto, sulla storia, la geografia e l’organizzazione politico-militare di Atlantide. Si racconta che quando gli dèi si spartirono le varie regioni terrestri, l’Attica (dove sarebbe sorta Atene) toccò in sorte a Efesto e Atena, mentre Atlantide a Poseidone. Poseidone generò dei figli (in tutto cinque coppie di gemelli) con Clito, una donna che abitava sull’isola: il primo di questi figli, Atlante, diventò re dell’isola, che da lui prese il nome insieme al mare che la circondava, l’Atlantico appunto. Gli altri nove diventarono principi e a ciascuno fu assegnata una parte dell’isola; loro e i loro discendenti abitarono l’isola “per parecchie generazioni”, estendendo il loro dominio sui territori vicini. Finché in loro prevalse “l’elemento divino” si comportarono con saggezza e accrebbero la prosperità del paese; quando invece cominciò a prevalere in loro la natura umana, degenerarono moralmente fino a che Zeus, vedendo la loro condizione, decise di castigarli perché ritornassero sulla retta via, e a tale scopo convocò tutti gli dèi.

Statua di Platone (e alle sue spalle, di Atena) all’Accademia Nazionale di Atene. Da qui.

A questo punto il dialogo si interrompe bruscamente, proprio “sul più bello”: probabilmente il racconto avrebbe dovuto proseguire descrivendo nel dettaglio la guerra tra Atene e Atlantide e i disastri che ad essa seguirono. Purtroppo sembra che Platone non scrisse mai il seguito della storia, che avrebbe dovuto forse far parte di un terzo dialogo. Ad ogni modo, le informazioni contenute nel Timeo e nel Crizia sono, come vedremo, più che sufficienti per stabilire l’esatta collocazione dell’isola scomparsa.

I “9000 anni”

Certamente il periodo di 9000 anni citato da Platone è uno degli aspetti più controversi e al tempo stesso intriganti del racconto. Due domande sorgono spontanee:

1) Platone intendeva davvero 9000 anni, o piuttosto un periodo più breve (per es. 900 anni, 9000 mesi, ecc.)?

2) Sarebbe teoricamente possibile, da parte di un popolo, conservare il ricordo di fatti, luoghi e personaggi risalenti a 9000 anni prima, fornendone oltretutto una descrizione così particolareggiata?

Rispondere alla prima domanda è abbastanza semplice. Un periodo (chiaramente approssimativo) di 9000 anni, per quanto possa sembrare esagerato, è perfettamente coerente con ciò che si afferma a più riprese nei due dialoghi: “Molte distruzioni di uomini ci sono state” (Timeo, 22c); “Non ricordate [riferito ai Greci] che un solo diluvio terrestre, mentre tanti altri ve ne furono prima” (ibid., 23b); “Spaventosi terremoti e cataclismi avvennero poi [dopo la guerra tra Atlantide e Atene]” (ibid., 25c); “Numerosi e terribili cataclismi vi furono nel corso di questi novemila anni – tale è infatti il tempo trascorso da quell’epoca alla nostra” (Crizia, 111a). È impensabile che questi cataclismi, tali da far regredire intere civiltà, siano avvenuti a partire dal II millennio a.C. (periodo a cui si risalirebbe interpretando gli anni come mesi). Oltretutto, Solone cerca di ottenere dai sacerdoti egizi informazioni riguardanti proprio gli eventi più antichi di cui potesse essere rimasta memoria (Timeo, 22a), tanto antichi che quelli ricordati nella mitologia greca, al confronto, erano come “favole di fanciulli” (ibid., 23b): non è credibile quindi che i fatti esposti dai sacerdoti risalissero ad appena un millennio prima dell’epoca in cui visse Solone.

Il Timeo e il Crizia, peraltro, non sono le uniche opere di Platone in cui si fa menzione di un passato remotissimo. Nelle, Leggi, ad esempio, a proposito della civiltà egizia, viene detto che “se fai un’indagine, troverai che là sculture e pitture di diecimila anni fa – e non diecimila anni fa per modo di dire, ma davvero – non sono più belle, non sono più brutte di quelle di oggi, perché realizzate sempre con una stessa tecnica” (656e-657a). E le stesse cronologie egizie sembrano concordare con questa affermazione, ponendo anzi l’origine di questa civiltà ancora più indietro nel tempo.

Per quanto riguarda la seconda domanda, la risposta è . Il Northcote nel suo libro menziona diversi casi in cui eventi geologici datati a secoli o addirittura millenni prima della nostra epoca erano ancora presenti nella memoria delle popolazioni locali, essendo stato il loro ricordo tramandato di generazione in generazione. Non dimentichiamo, inoltre, che importanti testi dell’antichità (per esempio i poemi omerici o i Veda) sono stati trasmessi oralmente per secoli prima di essere messi per iscritto. Ciò potrebbe sembrare un’impresa impossibile a noi uomini del terzo millennio, ma era perfettamente normale nell’antichità, quando la scrittura non esisteva. Peraltro ancora oggi in Occidente, racconti, filastrocche, proverbi vengono spesso trasmessi oralmente.

In teoria, quindi, anche la sola trasmissione orale potrebbe essere stata sufficiente a preservare la memoria di Atlantide. Tuttavia, ritengo che in questo caso il ruolo fondamentale sia stato svolto proprio dalla documentazione scritta degli eventi. È lo stesso sacerdote di Sais a dircelo: “Se qualcosa di bello, di grande, di notevole, insomma, è avvenuto, tutto è stato qui scritto fin dall’antichità nei templi, e la memoria ne è stata salvata” (Timeo, 23a). E poco più avanti (prima di iniziare il racconto): “I particolari di tutto li vedremo più tardi, a nostro agio, avendo sotto mano gli stessi testi” (ibid., 23e). E ancora: “Nelle nostre scritture è riportato che la vostra città [Atene] annientò una grande potenza [Atlantide] che aveva invaso insieme tutta l’Europa e l’Asia” (ibid., 24e). Dunque gli Egizi avevano messo per iscritto quanto era accaduto. Ma perché, allora, i Greci non avevano fatto altrettanto? È sempre il vecchio sacerdote a risponderci: “Presso di voi [i Greci], non appena vi sia stata una certa evoluzione nella scrittura ed in tutto ciò di cui hanno bisogno le città, ecco che nuovamente, a regolari intervalli di tempo, le cateratte del cielo si aprono, e di voi non sopravvivono che gli illetterati e gli ignoranti. E così ogni volta tornate giovani, senza nulla sapere di ciò che è stato qui, di ciò che avvenne presso voi, nei tempi antichi” (ibid., 23a-b).

Nonostante l’invenzione della scrittura venga fatta risalire intorno al 3500 a. C., quindi oltre 6000 anni dopo la scomparsa di Atlantide, è effettivamente poco probabile che una civiltà così sviluppata non ne possedesse nemmeno una forma rudimentale, e lo stesso vale per la civiltà egizia e quella greca, descritte da Platone come contemporanee a quella atlantidea (entrambe in realtà “antenate” di quelle a noi note storicamente). La scrittura, così come le altre conoscenze, sarebbe andata perduta con i “reset” causati dalle catastrofi naturali, e solo in tempi “storici” civiltà come quella greca se ne sarebbero definitivamente riappropriate, come altrove asserito dallo stesso Platone (Leggi, 677c-d, 680a). Presso gli Egizi, però, stando a quanto afferma il sacerdote (Timeo, 22d-e), i cataclismi non avrebbero mai fatto tabula rasa della civiltà, e questo avrebbe consentito di conservare la memoria degli eventi più antichi.

A mio avviso, quindi, l’affermazione di Platone circa i “9000 anni” è plausibile, così come è plausibile che fatti di una certa rilevanza, come appunto quelli relativi ad Atlantide, siano stati trasmessi integri, oralmente o per iscritto, attraverso vari millenni.

Atlantide e Atene

La storia di Atlantide, come abbiamo visto, è legata a doppio filo a quella di Atene. Il Crizia (110d-111e) descrive molto dettagliatamente il territorio che circondava questa città: “In fertilità la terra del nostro paese superava tutte le altre… produceva abbondanza infinita di frutti… vi erano anche molti alberi coltivati, e la terra dava alle greggi inesauribili pascoli… ovunque scorrevano generose le onde di sorgenti e di fiumi”.

Questa geografia, però, non rispecchia affatto quella della regione greca dell’Attica, dove si trova Atene. Platone ne è consapevole e attribuisce queste differenze alle catastrofi naturali, che nell’arco di 9000 anni avrebbero poco a poco “scarnificato” la terra (Crizia, 111a-b).

Ma siamo sicuri che questa antichissima Atene fosse la stessa città che nel V secolo a.C. dette a Platone i natali? O forse si trattava dell’Atene omerica, che Felice Vinci, nel suo rivoluzionario libro, ha collocato nel sud della Svezia (precisamente in corrispondenza dell’odierna Karlskrona)? Tale regione sembra rispecchiare le caratteristiche di questa Atene “preistorica”: è infatti molto ampia, pianeggiante e ricca di laghi e fiumi. Non solo: lo studio dei reperti floreali fossili ha mostrato come, intorno ai 12.000 anni fa, questa regione godeva di estati relativamente miti, più di quanto si credeva in passato.

Il sud della penisola scandinava rappresentava quindi un ambiente decisamente favorevole allo sviluppo della civiltà. Naturalmente, la civiltà fiorì anche in altri luoghi, per esempio l’Egitto, la Mesopotamia e forse la stessa Atlantide. Relativamente alla Scandinavia, sarebbe stato proprio il sud della penisola a ricoprire un ruolo privilegiato, poiché, come vedremo tra poco, le regioni più settentrionali erano interamente ricoperte dai ghiacci.

L’Europa al tempo di Atlantide

Per capire dove localizzare l’isola di Atlantide occorre avere un’idea di come appariva l’Europa (e in particolare il Nord Europa) nel periodo di cui Platone parla: questo periodo potrebbe coincidere con il Dryas Recente, che viene collocato approssimativamente tra il 10.800 e – curiosa coincidenza – il 9600 a.C.

Durante il Dryas Recente il livello del mare era più basso di adesso di oltre 60 metri. Di conseguenza, la superficie di terra emersa era assai maggiore: l’Inghilterra era connessa all’Europa continentale e l’area dell’attuale Mar del Nord era occupata da una vasta porzione di terra, oggi nota come Doggerland. Una ricostruzione dell’Europa preistorica è riportata nella mappa sottostante.

Mappa dell’Europa durante il Dryas Recente (10.800-9600 a.C.): l’area di Rockall è raffigurata come interamente subaerea. La Norvegia era ancora ricoperta dalla calotta glaciale (non mostrata). L’antica Atene si trovava forse nella Svezia meridionale.

Anche l’estensione delle calotte glaciali era molto maggiore di adesso: questo recente studio ricostruisce in maniera molto dettagliata il progressivo scioglimento della calotta glaciale della Fennoscandia, che ricopriva gran parte della penisola scandinava e dell’odierna Finlandia. Nella figura sottostante, tratta dallo studio citato, si osserva che durante il Dryas Recente la Svezia meridionale era libera dai ghiacci, e che durante tutto quel periodo la deglaciazione subì un drastico rallentamento: solo con la fine del Dryas Recente la calotta glaciale riprese a sciogliersi.

Ricostruzione dello scioglimento della calotta glaciale della Fennoscandia. La linea rossa più spessa indica i margini della calotta all’inizio del Dryas Recente, mentre le linee gialle i margini nei secoli successivi alla fine del Dryas Recente, dal 9600 a.C. in poi. Da Stroeven et al. (2018).

Ecco quindi che anche i “numerosi e terribili cataclismi” che sarebbero avvenuti dalla scomparsa di Atlantide in poi (Crizia, 111a) trovano finalmente una spiegazione logica: molto probabilmente, infatti, essi furono causati dal progressivo scioglimento della calotta glaciale, che provocò quelle massicce inondazioni note come “diluvi” (recentemente sono state scoperte le tracce di uno di questi).

Intorno al 7700 a.C., la calotta glaciale della Fennoscandia era quasi del tutto scomparsa, ma anche in seguito non mancarono le catastrofi naturali: per esempio, nel 6200 a.C. circa un gigantesco tsunami sommerse gli ultimi residui di Doggerland, già ridottosi alquanto nei millenni precedenti; i suoi effetti si fecero sentire anche nelle limitrofe regioni britanniche e scandinave. Perciò, è molto probabile che i popoli dell’Europa settentrionale si siano davvero ritrovati più di una volta a dover ricominciare da zero… proprio come dice Platone.

Dov’era Atlantide?

Compiuto il nostro excursus nella geografia dell’Europa preistorica, cerchiamo ora di determinare la posizione esatta di Atlantide. Il testo ci fornisce cinque elementi per localizzare l’isola:

  1. Atlantide si trovava dinanzi alle Colonne d’Ercole (Timeo, 24e);
  2. Da Atlantide si poteva passare alle “altre isole”, e da queste al “continente” che circondava il “vero mare” dove si trovava l’isola, distinto dal mare entro lo stretto delle Colonne d’Ercole, simile a un “porto di stretta imboccatura” (ibid., 24e-25a);
  3. Atlantide aveva esteso il suo dominio sulle isole vicine, su parti del continente e sui territori “al di qua” delle Colonne d’Ercole, “in Libia fino all’Egitto ed in Europa fino alla Tirrenia” (ibid., 25a; Crizia, 114c);
  4. La parte dell’isola rivolta verso le Colonne d’Ercole era prossima alla regione detta “Gadirica” (Crizia, 114b);
  5. Il mare dove si trovava Atlantide è “difficile ad ogni navigazione” per via dei bassifondi formatisi in seguito all’inabissarsi dell’isola (Timeo, 25d; Crizia, 108e-109a).

Esaminiamo quindi questi punti uno per uno.

1) Atlantide si trovava dinanzi alle Colonne d’Ercole.

Il termine “dinanzi” è la traduzione del greco pro, che indica una condizione di prossimità. Atlantide dunque si trovava poco oltre le Colonne d’Ercole. Ma… dov’erano (e che cos’erano) queste “Colonne”?

Le Colonne d’Ercole vengono definite “stretto”: si intende forse lo Stretto di Gibilterra? O dobbiamo cercare più a nord? Un passo di Tacito potrebbe aiutarci a tal proposito: “La fama ha divulgato che là [nell’odierno Mar del Nord] sussistano ancora delle Colonne d’Ercole…” (Germania, 34). Oggi nel Mar del Nord non c’è nessuno “stretto”, ma 12.000 anni fa… sì! Se osserviamo la mappa, possiamo notare come le odierne isole Orcadi e Shetland formassero proprio uno stretto, dirimpetto all’isola di Rockall (a differenza dello Stretto di Gibilterra, molto più lontano). Dunque le Colonne d’Ercole di cui si parla nel testo platonico potrebbero essere proprio queste.

Le Colonne d’Ercole originarie erano forse lo stretto tra le isole Orcadi (connesse alla Scozia) e le Shetland.

2) Da Atlantide si poteva passare alle “altre isole”, e da queste al “continente” che circondava il “vero mare” dove si trovava l’isola, distinto dal mare entro lo stretto delle Colonne d’Ercole, simile a un “porto di stretta imboccatura”.

Se osserviamo la posizione di Rockall nell’Oceano Atlantico, ci rendiamo conto della plausibilità di queste affermazioni. Da lì, infatti, sarebbe stato facile giungere, facendo scalo nelle “altre isole” (l’Islanda e la Groenlandia), fino al “continente”, senza la necessità di una lunga navigazione in mare aperto. È quasi scontato far notare che il “continente” di cui si parla non può che essere l’America, che circonda appunto il “vero mare”, ossia l’Oceano Atlantico.

Atlantide occupava nell’Oceano Atlantico una posizione privilegiata, dalla quale poteva raggiungere con facilità sia il continente americano (facendo scalo in Islanda e in Groenlandia) sia quello europeo.

Dunque, se il “vero mare” era l’Oceano Atlantico, qual era il mare “simile a un porto di stretta imboccatura”? Per scoprirlo basta ridare un’occhiata alla mappa riportata sopra: era il Mar del Nord! Infatti la presenza di Doggerland lo rendeva molto meno ampio di adesso, specialmente in prossimità della Norvegia, dove assomigliava quasi ad un canale. Possiamo quindi aggiungere un altro dettaglio alla nostra mappa.

Durante il Dryas Recente il Mar del Nord, assai meno ampio di oggi, poteva effettivamente ricordare un porto, la cui “stretta imboccatura” era probabilmente la porzione compresa fra Doggerland e la Norvegia, simile a un canale.

3) Atlantide aveva esteso il suo dominio sulle isole vicine, su parti del continente e sui territori “al di qua” delle Colonne d’Ercole, “in Libia fino all’Egitto ed in Europa fino alla Tirrenia”.

Atlantide dunque dominava sulle isole vicine e su alcuni territori del Nord America: fin qui, nulla di eccezionale. Ma la menzione di regioni africane (Libia, Egitto) ed europee (la Tirrenia, pressappoco l’odierna Toscana) tra quelle soggette al dominio di Atlantide potrebbe far sorgere qualche dubbio sulla ricostruzione qui proposta: possibile che il dominio di quest’isola si fosse spinto così lontano, fin nel Mediterraneo?

Ovviamente, nulla può essere escluso. Ma se teniamo presente la collocazione nordica delle Colonne d’Ercole che abbiamo ipotizzato poc’anzi, anche le regioni suddette (come del resto la stessa Atene) dovranno essere giocoforza collocate nello stesso contesto. Dalla mappa del Nord Europa preistorico riportata sopra si può notare come Atlantide e Atene rappresentassero, tra le regioni europee affacciate sull’Atlantico settentrionale, due “poli” contrapposti: da ciò si può ipotizzare che Atlantide avesse conquistato quasi tutte le regioni “nel mezzo”, ma non Atene che era appunto la più lontana. Quindi i termini “Libia”, “Tirrenia”, “Egitto” potrebbero forse indicare le regioni in cui era suddivisa… Doggerland!

A tal proposito, è quantomeno curioso notare che Doggerland era attraversata dal fiume Elba, curiosamente omonimo dell’isola toscana dove gli Etruschi (altro nome dei Tirreni) estraevano il ferro. Il fiume Elba, inoltre, è chiamato Laba o Lobja (nome che ricorda la Libia) in alcune lingue slave: forse Tirreni e Libi abitavano su sponde opposte di questo fiume? Per adesso non si può che restare nel campo delle ipotesi.

La vasta terra di Doggerland poteva ospitare diversi popoli, forse anche gli antenati di Libi, Tirreni ed Egiziani.

4) La parte dell’isola rivolta verso le Colonne d’Ercole era prossima alla regione detta “Gadirica”.

Il capitolo 9 del libro del Northcote è interamente dedicato a questo argomento: egli identifica questa regione con l’Irlanda, che effettivamente si trova “a un tiro di schioppo” da Rockall. Questa identificazione è suggerita da diversi scrittori antichi (Erodoto, Apollodoro, e altri), che citando una certa isola di “Erizia”, vicina all’oceano, la collocano in prossimità di questa regione o la identificano con essa. Poiché vari dettagli indurrebbero a pensare che l’isola di Erizia corrisponda proprio all’Irlanda (il cui nome locale, Eire, ricorda quello di Erizia), potremmo concludere che la regione Gadirica corrisponda proprio a quest’isola. Rimando comunque al libro per ulteriori approfondimenti.

“Gadeira” è molto probabilmente un antico nome dell’Irlanda. Poiché l’Atlantide platonica si trovava vicina alla regione Gadirica, la sua identificazione con Rockall è perfettamente logica.

5) Il mare dove si trovava Atlantide è “difficile ad ogni navigazione” per via dei bassifondi formatisi in seguito all’inabissarsi dell’isola.

Non è certo un mistero che la piccola isola di Rockall sia in realtà parte di una vasta porzione di terra oggi sommersa (se ne parla per esempio anche qui). Ma questo inabissamento non è un evento del passato: sembra infatti che l’isola stia ancora affondando. Da misurazioni effettuate nel 1977 e successivamente nel 2014, si è potuto constatare che in quel lasso di tempo l’isola si era abbassata di 85 cm (quindi circa 2,3 cm all’anno). Considerando un simile ritmo anche nei secoli passati, all’epoca di Platone l’isola doveva essere oltre 50 metri più alta di oggi.

Ma che dire del mare “difficile ad ogni navigazione”? Questa asserzione potrebbe trovare conferma nel racconto di Imilcone, un navigatore cartaginese del V secolo a.C., riportato da Avieno nel suo poema Ora Maritima, di molto posteriore (IV secolo d.C.). Secondo questo racconto, in prossimità delle isole britanniche il mare era pieno di alghe e molto poco profondo, il che rendeva la navigazione difficoltosa. Anche Aristotele nella Meteorologia afferma che il mare oltre le Colonne d’Ercole era poco profondo e fangoso. Ma anche oggi la navigazione in quelle acque è particolarmente rischiosa, come dimostrano i vari naufragi avvenuti in prossimità dell’isola di Rockall.

Atlantide: “più grande della Libia e dell’Asia”

Sia nel Timeo (24e) che nel Crizia (108e) viene asserito che l’isola di Atlantide era “più grande della Libia e dell’Asia insieme unite”. Un’affermazione, tuttavia, non facile da decifrare: infatti dobbiamo capire 1) cosa s’intenda per “più grande” e 2) cosa s’intenda per “Libia” e per “Asia”. Cerchiamo dunque di capirlo.

1) Cosa significa “più grande”?

La parola tradotta come “più grande” è meizon. È stato ipotizzato che questo termine si riferisse non già alle dimensioni dell’isola, ma piuttosto alla sua potenza militare: un’interpretazione a mio avviso errata, poiché non giustificata dal contesto della frase. Più probabile è che la parola indicasse effettivamente la grandezza fisica dell’isola e, nello specifico, il suo perimetro (e non la superficie). Infatti, come fa notare il Vinci, nell’antica Grecia la grandezza di un territorio veniva determinata misurando il suo profilo costiero, come del resto si addiceva ad una civiltà essenzialmente marittima: Diodoro Siculo riporta proprio in questo modo la grandezza dell’attuale Gran Bretagna (Biblioteca Storica, V, 21). Quindi, possiamo intanto affermare che il perimetro di Atlantide era maggiore di quello della Libia e dell’Asia messe insieme.

2) Quali luoghi indicano i termini “Libia” ed “Asia”?

In questo caso la risposta è più difficile, poiché non sappiamo di preciso a quali territori si riferisse Platone: si ritiene che in quell’epoca per “Libia” si intendesse l’attuale Nordafrica a ovest dell’Egitto, mentre per “Asia” l’attuale Turchia e i territori mediorientali. Il Northcote, comunque, affronta la questione riferendosi a Erodoto, che in un passo delle sue Storie (IV, 42) afferma che l’Europa misura in lunghezza quanto la Libia e l’Asia messe assieme. Considerando “Europa” il territorio compreso tra il Caucaso e l’Oceano Atlantico, abbiamo tra le due estremità una distanza in linea d’aria compresa fra i 2900 e i 4100 km (a seconda del punto occidentale preso come riferimento): dunque dovrebbe essere stato questo l’ordine di grandezza del perimetro di Atlantide.

Ma qual era il perimetro della regione, oggi sommersa, di Rockall? Il Northcote calcola approssimativamente, tramite Google Earth, sia questo perimetro (2730 km) che quello della Gran Bretagna (2860 km); confronta poi quest’ultimo con il perimetro ottenuto da qui (3430 km) e ricava tramite una proporzione quello “reale” di Rockall, che risulta essere di circa 3275 km, in linea con l’intervallo previsto. Teoricamente, quindi, l’identificazione di Atlantide con Rockall rispecchia anche l’affermazione secondo cui l’isola era più grande della Libia e dell’Asia messe insieme.

Miscellanea

Il Crizia è prodigo di informazioni sulla geografia e sulle ricchezze naturali di Atlantide. Le esamineremo brevemente dopo una piccola digressione sulle unità di misura adoperate da Platone.

A proposito di dimensioni

Platone impiega tre diverse unità di misura per descrivere le grandezze: il piede (circa 30 cm), il pletro (circa 30 m = 100 piedi) e lo stadio (circa 180 m = 6 pletri = 600 piedi). Però, se esaminiamo le dimensioni che fornisce dell’isola di Atlantide (specialmente delle costruzioni), esse sono tutte incredibilmente esagerate, al punto che perfino lui arriva a dubitarne (Crizia, 118c)! Un esempio: Platone afferma (Crizia, 118c-d) che tutt’intorno alla pianura che occupava il centro dell’isola era stato scavato un canale profondo un pletro (quindi circa 30 m) e lungo complessivamente 10.000 stadi (circa 1800 km). Ma si tratta di misure enormemente spropositate: basti pensare che il Canale di Panama ha una profondità di “soli” 12 m ed è lungo “soltanto” 80 km!

Sorge spontanea, perciò, una domanda: queste misure sono attendibili? Oppure Platone ha preso un abbaglio? In questo ottimo articolo, il ricercatore tedesco Ulf Richter suggerisce che lo stadio greco debba essere sostituito con il khet egizio, corrispondente a 52,4 m (100 cubiti reali): Solone infatti potrebbe aver riportato le grandezze in questa unità di misura, ma i suoi eredi, tramite i quali il racconto giunse a Platone, potrebbero averla confusa con lo stadio. Con questo accorgimento, le grandezze che otteniamo sono molto più realistiche: per esempio, il canale risulta profondo solo poco meno di 9 m e lungo 524 km; l’ippodromo (Crizia, 117c), largo uno stadio e lungo 57 (oltre 10 km!), viene a misurare 52 m in larghezza e poco meno di 3 km in lunghezza, come i più grandi ippodromi attuali; il tempio di Poseidone (Crizia, 116d) misura non 90 x 180 m, ovvero 3 pletri (1/2 stadio) x 1 stadio, ma solo 26 x 52 m (1/2 khet x 1 khet), pressappoco come il tempio di Nettuno a Paestum, che misura 24 x 60 m. A mio avviso, quindi, la sostituzione dello stadio con il khet è più che ragionevole e pertanto ne terremo conto più avanti.

La topografia

Secondo il Crizia, la parte centrale dell’isola era occupata da una pianura di forma oblunga, rivolta verso sud e al riparo dai venti del nord (113c, 118a-b); questa pianura era circondata da montagne di grande altezza e bellezza, che si prolungavano fino al mare (118a-b). I lati della pianura, già di per sé abbastanza regolari, erano stati resi artificialmente rettilinei, cosicché l’intera pianura aveva la forma di un quadrilatero (118c); poiché i lati misuravano 3000 e 2000 stadi, il suo perimetro era di 10.000 stadi (118a, d). Tutta l’area era percorsa da diversi canali rettilinei, distanti 100 stadi l’uno dall’altro, che si collegavano al fossato scavato tutt’intorno alla pianura (118d).

Vediamo dunque se questi particolari possano adattarsi a Rockall. La vasta area sommersa presenta effettivamente una parte centrale pianeggiante (il Bacino di Hatton-Rockall), rivolta verso sud e circondata da rilievi (i Banchi di Hatton e di Rockall). Se quest’area fosse stata subaerea, queste montagne avrebbero potuto effettivamente proteggere la pianura dai venti del nord, il che ha perfettamente senso per un’isola che sfiora il 60° parallelo.

Ma che dire delle misure della pianura centrale? Rifacendoci a quanto abbiamo detto poc’anzi, sostituiamo allo stadio greco il khet egizio (52,4 m): abbiamo così una pianura di 157 x 105 km e canali distanti 5,2 km l’uno dall’altro, misure compatibili con le dimensioni del Bacino di Rockall. Peraltro, tramite Google Earth possiamo osservare la presenza nel Bacino di Rockall di numerosi canali paralleli distanti fra loro circa… 5 km. Solo una coincidenza?

Tramite Google Earth si osservano numerosi canali paralleli lunghi decine di km e distanti poco più di 5 km: formazioni naturali o resti di antichi canali d’irrigazione?

Il clima

Da alcuni passi del Crizia (per es. 115a-b) possiamo intuire che Atlantide godesse di un clima piuttosto mite. Sappiamo anche che gli abitanti dell’isola raccoglievano i prodotti della terra due volte l’anno, “utilizzando d’inverno le acque piovane, e d’estate irrigando i prodotti del suolo con le acque dei canali” (Crizia, 118e). L’attuale clima di Rockall non rispecchia quello descritto nel Crizia; tuttavia, se l’intera area di Hatton Rockall fosse stata subaerea, essa si sarebbe trovata “abbracciata” da ogni parte dalla Corrente del Golfo: ciò avrebbe probabilmente favorito una maggiore mitezza del clima. Il clima di Atlantide, quindi, avrebbe potuto essere simile a quello dell’Irlanda: anch’essa, come l’Atlantide platonica, riceve la maggior parte delle piogge in inverno ed è lambita dalla Corrente del Golfo, che consente la crescita di palme e altre piante tipiche di climi più caldi.

La calda Corrente Nord-Atlantica, un ramo della Corrente del Golfo, circonderebbe tutta quanta l’area sommersa di Rockall, mitigando notevolmente il clima. Da qui.

Gli elefanti

Atlantide ospitava animali di ogni tipo, tra i quali spiccava l’elefante (Crizia, 114e-115a). La presenza di questo animale in un’isola nordica potrebbe suonare strana, ma ricordiamoci che stiamo parlando di un’epoca molto lontana dalla nostra, in cui in Europa esistevano ancora i mammut, i cui ultimi esemplari si estinsero soltanto 4000 anni fa. Il Northcote fa notare che nelle isole britanniche era presente anche un’altra specie di elefante, l’elefante dalle zanne dritte (Palaeoloxodon antiquus), più adattato ai climi temperati rispetto al mammut. L’elefante dalle zanne dritte si sarebbe estinto in Europa prima di 30.000 anni fa, ma secondo questo studio alcuni esemplari appartenenti allo stesso genere erano ancora presenti 3000 anni fa nel nord della Cina. Sebbene non si possa dimostrare che in una Rockall subaerea si trovassero effettivamente degli elefanti, la presenza di almeno una di queste due specie sarebbe stata, in linea teorica, possibile.

Conclusioni

Siamo giunti così alla fine di questa ricerca. A mio avviso, in base a quanto qui esposto, Rockall rappresenta la collocazione “ideale” della mitica isola di Atlantide: un’isola di dimensioni notevoli, situata in una posizione “strategica” tra Europa e America, lambita da ogni parte dalla Corrente del Golfo, che la beneficiava di un felice clima, e infine sprofondata a causa di terribili cataclismi: “semplici” catastrofi naturali, o davvero un “castigo divino” per la protervia dei suoi abitanti? Comunque sia andata, ancora oggi una minuscola parte dell’antica isola emerge dalle onde dell’oceano, quasi come un monito per noi uomini del terzo millennio. E forse scomparirà del tutto solo quando il suo mistero sarà definitivamente svelato.

2 Risposte a “Rockall: la Vera Atlantide”

  1. Tutto molto interessante, l’ipotesi Rockall-Atlantide è sicuramente la più sensata. Tuttavia mi chiedo: perché mai alterare l’ubicazione di Atene con le solite paranoie nordiste? Non capisco.
    Lasciamo la Svezia dov’è: al limite possiamo collegarla agli Iperborei. Punto.

    1. La ricollocazione di Atene in una sede più settentrionale aveva diverse ragioni, in parte già esposte nell’articolo ma che per comodità riporto anche qui (non necessariamente in ordine di importanza):
      – Le differenze tra il territorio descritto da Platone nel Crizia e quello dell’Atene greca;
      – La maggiore prossimità geografica alla zona dove secondo la mia ricostruzione si trovava Atlantide;
      – Il fatto che il mare “al di qua” delle Colonne d’Ercole somigliasse a “un porto dalla stretta imboccatura”, il che si addice più al primitivo Mar del Nord che al Mediterraneo;
      e inoltre perché, a mio avviso, il conflitto tra Atlantide e Atene andrebbe ricondotto all’incontro-scontro tra popolazioni rispettivamente “atlantiche”, linguisticamente afroasiatiche, ed “iperboree”, forse già considerabili proto-indoeuropee. Questo è un tema che avevo accennato negli altri articoli su Atlantide ma che intendevo sviluppare ulteriormente in futuro.
      Un saluto

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