Artico, Culla della Civiltà

L’Orsa maggiore, una delle costellazioni più caratteristiche dell’emisfero boreale, in un’illustrazione di Johannes Hevelius (1687). Dal nome dell’Orsa (in greco Arktos) deriva il termine artico. Da qui.

Era il 1885 quando William Fairfield Warren, all’epoca rettore dell’Università di Boston, pubblicò il libro – mai tradotto in italiano – Paradise Found – The Cradle of the Human Race at the North Pole, nel quale sosteneva che il luogo d’origine dell’intera razza umana andasse ricercato nientemeno che al Polo Nord. Da allora, è stato raccolto molto altro materiale che supporta l’ipotesi dell’origine artica, se non dell’Umanità, perlomeno di alcuni popoli: in questo blog abbiamo già affrontato più volte l’argomento, ma è giunta l’ora di fare un riepilogo.

La colonizzazione dell’Artico

In altri articoli abbiamo già accennato al fatto che in passato il clima delle regioni artiche era molto più mite dell’attuale, tale da consentire lo sviluppo della civiltà. Tuttavia, questo passato non è remotissimo: fino a circa 10.000 anni fa, gli “strascichi” dell’ultima Era Glaciale si facevano ancora sentire. Dunque, probabilmente le popolazioni che vissero in questi luoghi non erano autoctone, ma giunsero dal sud, forse intorno all’8000 a.C.

Ma da dove, esattamente? A mio avviso, la loro origine deve essere ricercata tra l’Europa settentrionale e nord-occidentale. Nei due articoli su Atlantide avevamo ipotizzato che il sud della Scandinavia e il Mar del Nord (all’epoca occupato dall’ampia distesa di terra nota come Doggerland) fossero sede di un’avanzata civiltà, distrutta (assieme ad Atlantide) intorno al 9600 a.C. da una catastrofe naturale. Poiché quelle stesse regioni, nei secoli successivi, furono sede di altri disastri (dovuti verosimilmente allo scioglimento della calotta glaciale della Fennoscandia), può darsi che ad un certo punto i sopravvissuti abbiano deciso di emigrare verso nord, dove nel frattempo il clima si era fatto più favorevole (si trattò del cosiddetto “optimum climatico dell’Olocene”). Colonizzarono in questo modo le regioni artiche, da cui sarebbero discesi solo alcuni millenni più tardi.

Esisteva un continente artico?

Potremmo chiederci, a questo punto, dove si sviluppò questa “civiltà artica primordiale” (che potremmo definire “proto-indoeuropea”). I primi abitatori di queste contrade vissero su un continente oggi scomparso? Oppure erano dispersi tra le varie isole che ancora oggi si trovano sulle mappe?

Se osserviamo alcune antiche mappe dell’Artico, come quella, famosissima, di Mercatore, notiamo che intorno al Polo Nord è raffigurato un vero e proprio continente. Tuttavia, è chiaro che non si tratta di una terra reale: il suo profilo fu realizzato sulla base delle credenze del tempo e dei resoconti dei primi esploratori, che però, in realtà, non si erano spinti fino a quelle latitudini.

Mappa delle regioni artiche realizzata da Mercatore (1606). Da qui.

Ma allora come spiegare il fatto che alcuni miti – lo vedremo tra poco – alludono a fenomeni astronomici e atmosferici visibili solo da regioni vicinissime al Polo Nord o addirittura solo dal Polo stesso, dove non si trova alcuna terra emersa?

Le spiegazioni possibili sono almeno tre. La prima è che la “civiltà artica” si sviluppò in Groenlandia, che un tempo occupava il Polo Nord. In questo caso, tuttavia, dovremmo retrodatare di molti millenni l’inizio di questa civiltà, e inoltre dimostrare che la calotta glaciale della Groenlandia all’epoca non era presente.

Un’altra possibile spiegazione è che la sede della civiltà artica fosse un continente presente nell’Oceano Artico ed oggi scomparso, oppure ancora oggi presente ma la cui esistenza è occultata dalle autorità. Quest’ultima ipotesi mi pare alquanto improbabile; ritengo la prima più plausibile, sebbene attualmente non ci siano prove a sostegno.

Una terza spiegazione è che i primi abitatori dell’estremo nord vissero nelle stesse terre presenti tuttora nell’Oceano Artico, dalle quali era possibile, viaggiando per mare, raggiungere il Polo Nord. All’epoca, grazie al clima più favorevole, il mare non era ghiacciato e la navigazione doveva essere certamente più facile. A mio parere, per il momento questa è la spiegazione più plausibile per quanto riguarda la culla della civiltà artica.

Gli Arii

Gli Arii sono il popolo indoeuropeo stanziatosi in Iran e nel subcontinente indiano verso la metà del II millennio a.C. Grazie alle preziose ricerche di Bal Gangadhar Tilak, sappiamo che la sede originaria di queste genti si trovava nei pressi del Polo Nord. Il Tilak giunse a questa conclusione studiando i Veda e l’Avesta, i testi sacri rispettivamente indiani e iranici. Riportiamo qui un breve elenco delle prove a sostegno della sua ipotesi:

  • In questi testi si parla talvolta di un giorno e di una notte che insieme hanno la durata di un anno: l’unico luogo dove questo è possibile è il Polo Nord, dove appunto il sole sorge e tramonta una sola volta all’anno;
  • Il movimento della volta celeste viene paragonato a quello della ruota di un carro: effettivamente, ad un osservatore nei pressi del Polo Nord, le stelle apparirebbero muoversi in un’orbita circolare, senza tramontare mai;
  • L’alba ha una durata molto lunga (circa 30 giorni), e talvolta si parla di albe “consecutive”, che si susseguono senza che il sole salga sopra l’orizzonte: anche questo è un fenomeno tipico di regioni prossime al Polo;
  • Alcuni passi menzionano giorni e notti che si protraggono per più giorni: una chiarissima allusione al sole di mezzanotte e alle notti polari che si verificano nelle regioni artiche;
  • Da altri passaggi traspare l’esistenza di un anno di dieci mesi: ciò indica la presenza di una notte polare di circa 60 giorni, che si ha all’incirca in corrispondenza del 70° parallelo nord.

Il Tilak, tuttavia, individuò solo la latitudine del luogo d’origine degli Arii, non la longitudine. In questo blog abbiamo umilmente cercato di proseguire il suo lavoro, provando a localizzare con precisione l’Airyana Vaeja, la mitica patria degli Iranici. In questo articolo avevamo suggerito che l’Airyana Vaeja potrebbe corrispondere alle odierne Svalbard, forse all’isola di Spitsbergen, la più grande dell’arcipelago, contraddistinta da un clima più mite rispetto alle altre isole (nonché ad altre terre emerse dell’Oceano Artico).

L’isola di Spitsbergen potrebbe corrispondere anche alla mitica Lanka descritta nel Ramayana. La localizzazione di quest’isola è particolarmente difficile, poiché le indicazioni geografiche fornite nel poema sono fra loro contradditorie. Tuttavia, è piuttosto facile intuirne il motivo: probabilmente, quando gli Arii giunsero nel subcontinente indiano, adattarono la storia (tramandata oralmente) al nuovo contesto geografico; solo molto più tardi, quando la memoria storica era ormai svanita, il semi-leggendario poeta Valmiki mise tutto per iscritto.

Eppure, diversi particolari tradiscono l’originaria collocazione artica di Lanka, e portano a localizzarla nell’arcipelago delle Svalbard. Innanzitutto, Il nome dell’isola sembra un prestito dalle lingue nordiche: in lettone, per esempio, la parola lanka significa “prato paludoso”, il che si attaglia piuttosto bene a descrivere il paesaggio delle Svalbard, dove gli alberi sono praticamente assenti ed abbondano muschi e licheni.

Inoltre, la capitale di Lanka si trovava sul monte Trikuta (ossia “con tre picchi”), secondo la mitologia indiana una delle venti montagne che circondano il monte Meru. Quest’ultimo è stato identificato con varie montagne, ma in origine rappresentava il Polo Nord: dunque l’isola su cui sorgeva il monte Trikuta doveva trovarsi anch’essa in prossimità del Polo. E infatti il mitico monte “con tre picchi” trova un corrispettivo nelle “Tre Corone” dell’isola di Spitsbergen: si tratta di tre montagne alte circa 1200 metri, le cui vette sembrano “livellate da scalpelli”, proprio come affermato nel Ramayana (VII, 5, 21-22)!

Le Tre Corone dell’isola di Spirtsbergen: il mitico monte Trikuta?
Inserto tratto da Google Earth; mappa tratta da qui; fotografia tratta da qui.

Altri popoli

Tracce di un’origine artica si rinvengono anche presso altri popoli. Vediamo qualche esempio.

Gli Egizi

Diversi indizi (già riportati qui) suggeriscono che il luogo originario degli Egizi fosse la Lapponia. Cinzia Mele, nel libro Gli Dei Baltici della Bibbia, individua in questa regione la leggendaria “terra di Punt” menzionata nei testi egizi. Ma non solo: come fatto notare dall’autrice, sembrerebbe che di questo “Egitto artico” facessero parte anche le isole Svalbard!

Questa deduzione proviene da un passo della Biblioteca Storica di Diodoro Siculo (I, 33), in cui si menziona un’isola “del Nilo”, Meroe (nome peraltro simile a Meru), la cui forma (“a scudo”) e le cui dimensioni (tremila stadi per mille, circa 540 x 180 km) corrispondono straordinariamente a quelle dell’arcipelago delle Svalbard. Fra l’altro, Diodoro Siculo menziona altre settecento isole che si troverebbero in prossimità di Meroe, in cui si può intravedere un riferimento al piccolo arcipelago delle Mille Isole.

I Sumeri

Anche dei Sumeri avevamo già parlato, individuando la loro possibile area di provenienza nel Baltico orientale. Qui ci limitiamo a far notare come nel nome dei Sumeri riecheggi quello del monte Meru, ossia il Polo Nord. Peraltro, questo mitico monte viene chiamato anche Sumeru, ossia “l’eccelso Meru”. Forse quindi il nome dei Sumeri indicava, in origine, il loro luogo di provenienza, cioè le regioni artiche. Il Mar Baltico potrebbe essere stata la prima tappa della loro migrazione verso sud.

I Greci

Sappiamo già, grazie allo straordinario lavoro di Felice Vinci, che lo scenario dei poemi omerici non è il Mediterraneo, bensì il Mar Baltico. Ma in altri miti greci si avverte l’eco di uno scenario precedente e ancora più settentrionale, artico appunto.

Basti pensare, per esempio, al mito del rapimento di Persefone da parte di Ade, dio dell’Oltretomba, e del suo ciclico ritorno. Persefone rimaneva per sei mesi nell’Oltretomba e poi tornava sulla terra: la madre Demetra, dea della fertilità del suolo, faceva allora rifiorire la terra per la gioia. È probabile che in origine il mito alludesse alle due metà in cui si divideva l’anno al Polo Nord, contraddistinte l’una da sei mesi di luce, l’altra da sei mesi di oscurità.

Il rapimento di Persefone in un dipinto di Nicolas Mignard (1651). Da qui.

Inoltre, secondo i miti greci il signore dell’Età dell’Oro, la prima età del mondo, fu il titano Crono. Ebbene, nel De facie di Plutarco (941a) si afferma che Crono è imprigionato in una delle tre isole, equidistanti fra loro, che si incontrano navigando a occidente dall’isola di Ogigia. Quest’ultima, secondo il Vinci, è individuabile nell’arcipelago delle Faroe: di conseguenza, è facile riconoscere nelle altre tre l’Islanda, la Groenlandia e l’isola di Baffin, tutte (almeno in parte) al disopra del Circolo Polare Artico. Ciò avvalora l’ipotesi che la favolosa Età dell’Oro coincise con il periodo di optimum climatico, durante il quale anche l’estremo settentrione godeva di un clima favorevole.

I Romani

Ebbene sì: anche tra i Romani esistono tracce di una possibile provenienza artica. Infatti, come già fatto notare dal Tilak, il loro calendario originario contava dieci mesi (l’ultimo dei quali era appunto dicembre), proprio come l’antico calendario vedico. È molto probabile, quindi, che anche i Romani (o meglio, i loro antenati) conoscessero il fenomeno della notte polare: il calendario di dieci mesi sarebbe un vero e proprio fossile risalente alla loro permanenza nell’Artico.

L’Umanità viene tutta quanta dal nord?

Veniamo infine ad una domanda cruciale: è possibile che il Polo Nord sia il luogo d’origine non soltanto della “civiltà proto-indoeuropea”, ma di tutta quanta la razza umana?

La domanda nasce dal fatto che alcuni autori (compreso il Warren) hanno individuato riferimenti a un “paradiso polare” anche in popoli non bianchi, come i Cinesi, i Giapponesi e perfino i Pigmei. Che anche loro provengano dall’estremo nord?

Prima di rispondere, bisogna fare tre importanti precisazioni. La prima è che la posizione del Polo Nord, sebbene attualmente stabile, è variata più volte nel corso dei millenni. In secondo luogo, le origini dell’Umanità risalgono probabilmente a tempi remotissimi, così remoti che perfino nei miti se ne trovano solo ricordi sbiaditi. Infine, l’Umanità attuale è soltanto l’ultima arrivata sulla Terra: altre Umanità ci hanno preceduto, e il loro luogo d’origine potrebbe non coincidere col nostro.

Ciò significa che: 1) la razza umana potrebbe aver avuto origine in un punto del globo che oggi non si trova nell’Artico, ma che poteva trovarvisi migliaia (o milioni) di anni fa (come pure in una zona che non si è mai trovata a latitudini elevate); 2) è molto difficile stabilire dove l’Umanità abbia iniziato il suo cammino, se non sappiamo di preciso quando lo ha iniziato. Gli accenni, nei miti, ad un’originaria patria artica si riferiscono ad epoche certamente antiche, ma comunque relativamente recenti se teniamo conto dell’enorme lasso di tempo in cui l’Umanità ha prosperato sul pianeta; 3) il luogo originario dell’Umanità attuale probabilmente è quello in cui uno sparuto gruppo di sopravvissuti a una catastrofe globale si radunò per ripopolare il pianeta: in altre parole, sarebbe il luogo d’origine della nostra Umanità, non di quelle precedenti.

Di conseguenza, io ritengo più plausibile che l’Artico sia stata la culla della civiltà proto-indoeuropea (che potrebbe in seguito aver influenzato altre culture) piuttosto che di qualche particolare razza umana o dell’Umanità tutta intera. Tuttavia, la ricerca è ancora aperta e nulla vieta che queste conclusioni possano un giorno essere rimesse in gioco.

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