L’Eden Baltico

La “Mappa del Salterio” (XIII secolo). L’Eden è raffigurato in alto. Da qui.

Introduzione

Nel secondo capitolo del libro della Genesi si trova il racconto della creazione dell’uomo e la descrizione del suo “habitat” primigenio, un “giardino” situato nella regione di Eden, dalla quale, ci informa l’autore biblico, si originano quattro fiumi:

Un fiume usciva da Eden per irrigare il giardino, poi di lì si divideva e formava quattro corsi. Il primo fiume si chiama Pison: esso scorre intorno a tutto il paese di Avila, dove c’è l’oro e l’oro di quella terra è fine; qui c’è anche la resina odorosa e la pietra d’onice. Il secondo fiume si chiama Ghicon: esso scorre intorno a tutto il paese d’Etiopia. Il terzo fiume si chiama Tigri: esso scorre ad oriente di Assur. Il quarto fiume è l’Eufrate.

Genesi, 2, 10-14

Ma dove si trovava questa regione? Apparentemente, non dovrebbe essere difficile da rintracciare: sappiamo che i fiumi Tigri ed Eufrate nascono entrambi dai monti della Turchia orientale; pertanto, non lontano da lì si troveranno anche le sorgenti degli altri due fiumi e, quindi, l’Eden biblico.

In realtà, la faccenda non è così semplice: non solo, infatti, non esiste nessun “Pison” e nessun “Ghicon” in quella regione, ma quest’ultimo fiume, stando al testo biblico, bagnerebbe addirittura l’Etiopia, quindi si troverebbe in un continente diverso (l’Africa) rispetto al Tigri e all’Eufrate!

Vari autori, nel corso dei secoli, hanno cercato di identificare questi due misteriosi corsi d’acqua: per esempio, Giuseppe Flavio (Antichità Giudaiche, I, 38-39) afferma che i Greci chiamano il Pison “Gange” e il Ghicon “Nilo”. Tuttavia, le sorgenti di questi due fiumi sono lontanissime da quelle del Tigri e dell’Eufrate, e distano migliaia di chilometri anche l’una dall’altra. Nemmeno le ipotesi proposte in seguito sono riuscite a risolvere del tutto le incongruenze della descrizione biblica.

Il dilemma sembrerebbe quindi senza soluzione. C’è, però, un’ultima possibilità: che il passo della Genesi sopra citato si riferisca, in realtà… a un luogo completamente diverso! Ma quale, esattamente? Vedremo che è proprio l’Etiopia, che appare “fuori posto” nella descrizione, la chiave per risolvere la questione.

Dove si trovava davvero l’Etiopia?

L’Etiopia è menzionata, oltre che nella Bibbia, anche nella mitologia greca: Nell’Iliade, per esempio, leggiamo: “Però che Zeus verso l’Oceano, verso gli Etiopi senza macchia / ieri partì per un pranzo; e tutti gli dèi lo seguivano” (I, 423-424) e “vado [chi parla è la dea Iris] sulle correnti d’Oceano / degli Etiopi alla terra, dove fanno ecatombi / ai numi, ch’io pure abbia parte alle offerte” (XXIII, 205-207). E nell’Odissea: “Ma se n’andò Poseidone fra gli Etiopi lontani / gli Etiopi che in due si dividono, gli estremi degli uomini / quelli del sole che cade e quelli del sole che nasce” (I, 22-24).

Ora, come fatto notare dall’ingegnere Felice Vinci nel suo volume Omero nel Baltico, il mondo descritto nei poemi omerici presenta numerose incongruenze con il Mediterraneo, dove comunemente si suppone si siano svolti (o siano stati ambientati) gli eventi dell’Iliade e dell’Odissea, mentre rispecchia perfettamente la geografia dell’area baltico-scandinava. Secondo la ricostruzione del Vinci, fu qui che fiorì la civiltà achea, in un periodo in cui la regione godeva di un clima molto più mite dell’attuale, precisamente la “fase atlantica” del cosiddetto “optimum climatico postglaciale”, che durò dal 5500 al 2000 a.C. circa. A seguito dell’irrigidirsi del clima, verso il 1500 a.C., gli Achei sarebbero migrati verso sud portandosi dietro il loro “bagaglio” di miti, che avrebbero poi trasposto nel Mediterraneo assegnando alle nuove località gli stessi nomi delle loro sedi originarie. Questa migrazione, in realtà, avrebbe interessato la gran parte dei popoli definiti “indoeuropei”: già all’inizio del XX secolo Bal Gangadhar Tilak, uno studioso indiano, aveva mostrato come i Veda (i testi sacri indiani) descrivano configurazioni astrali (come l’equinozio di primavera nella costellazione di Orione) e fenomeni astronomici (per esempio “albe” della durata di 30 giorni) che sarebbero risultati visibili solo a nord del Circolo Polare Artico, in un periodo compreso fra il 4500 e il 2000 a.C. circa. Dunque anche gli Arii, il popolo indoeuropeo stanziatosi in India, erano molto probabilmente originari del Nord Europa, e come loro probabilmente altri popoli indoeuropei.

Particolare della “Carta Marina” di Olaus Magnus (1539). Al largo delle coste norvegesi è raffigurato un gorgo (oggi noto come Maelstrom) denominato “horrenda Caribdis”: la Cariddi menzionata nell’Odissea! Da qui.

Dove collocare, quindi, l’Etiopia descritta da Omero? Anch’essa, come le altre località menzionate nei due poemi, andrà inserita in un contesto nordico: l’espressione “estremi fra gli uomini” usata a proposito degli Etiopi potrebbe riferirsi al fatto che essi abitavano le regioni dell’estremo settentrione, mentre il fatto che ci fossero “quelli del sole che cade e quelli del sole che nasce” potrebbe indicare l’esistenza di due tribù, una occidentale ed una orientale. Il “fiume Oceano” presso cui risiedevano è argutamente identificato dal Vinci con la Corrente del Golfo, un vero e proprio fiume che scorre nel mare, e che dall’Oceano Atlantico si spinge fino al largo delle coste norvegesi. Probabilmente, quindi, gli antichi Etiopi risiedevano nell’estremità settentrionale dell’odierna Norvegia, dove si trovano penisole separate in senso nord-sud da profondi fiordi, i quali avrebbero “diviso in due” la popolazione, una parte risiedendo a occidente e l’altra a oriente.

Né i poemi omerici sono gli unici a suggerire una simile ubicazione dell’Etiopia: nel mito greco di Perseo, infatti, l’eroe si dirige in Etiopia, dove libera Andromeda da un mostro marino che stava per divorarla, subito dopo aver ucciso Medusa nella terra degli Iperborei (che i Greci collocavano nell’estremo nord). E lo stesso Virgilio, vissuto in Italia nel I secolo a.C., forse aveva reminiscenze dell’antica geografia omerica quando scrisse: “Presso le rive d’Oceano e il sole cadente / c’è l’ultimo lembo d’Etiopia, dove il massimo Atlante / regge a spalla la volta d’ardenti stelle preziosa” (Eneide, IV, 480-482).

Non mancano, infine, indizi toponomastici: nella penisola di Nordkinn, infatti, si trova la località Hopseidet, che ricorda la parola greca per indicare gli Etiopi, ossia Aithiops. Non si sa con certezza cosa significhi questa parola: poiché aithos significa “fuoco” e ops “volto”, si è pensato che il termine indicasse popolazioni “dal viso bruciato”, ossia di razza nera. Ma ops può significare anche “occhio”, “ciò che appare”: dunque l’Etiopia omerica potrebbe essere stata la terra “dove si vedeva il fuoco”, e questo probabilmente perché durante la notte polare, lunga circa due mesi (più che in ogni altra regione scandinava), il fuoco doveva essere tenuto costantemente acceso per garantire l’illuminazione.

Ora, sulla base degli studi del Vinci, Luigi Cesetti, curatore del sito www.edenbaltico.com, ha ipotizzato che anche l’autore della Genesi, con il termine “Etiopia”, si riferisca alla medesima regione indicata da Omero. Ciò porterebbe a localizzare anche gli altri luoghi citati (e i fiumi che vi scorrono) nell’area limitrofa: l’Eden si troverebbe dunque nel Nord Europa!

L’ipotesi potrebbe a prima vista apparire peregrina: in fondo, Bibbia e mitologia greca sembrano essersi originate in contesti geografici e culturali completamente diversi. In realtà, una più attenta comparazione tra la civiltà greca e quella ebraica porterebbe a scoprire convergenze inaspettate. Innanzitutto, nella Bibbia Spartani e Giudei vengono definiti “fratelli”, in quanto entrambi discendenti dalla stirpe di Abramo (I Maccabei, 12, 21).  In secondo luogo, l’eco di molti racconti biblici si ritrova nei miti greci: così Abramo sta per sacrificare il figlio Isacco quando un angelo lo ferma e al posto di Isacco viene sacrificato un ariete (Genesi, 22, 10-13), e allo stesso modo Atamante si appresta a sacrificare il figlio Frisso quando Eracle lo ferma e Frisso fugge in groppa ad un ariete; Giacobbe è capace di far nascere capi di bestiame di un determinato colore (Genesi, 30, 37-40), così come Autolico è capace di mutare il colore delle bestie; Dan, progenitore di una delle dodici tribù d’Israele, è figlio di Giacobbe e della schiava Bila (Genesi, 30, 4-6), mentre Danao, progenitore dei Greci (detti perciò anche Danai), è figlio di Belo; la moglie di Potifar si invaghisce di Giuseppe e, respinta, lo calunnia (Genesi, 39, 7-18), e lo stesso succede a Bellerofonte, di cui si invaghisce Antea, moglie di Preto; il piccolo Mosè viene deposto dalla madre in una cesta e lasciato sul fiume (Esodo, 2, 3), e similmente il piccolo Perseo e sua madre vengono rinchiusi in una cassa e abbandonati in mare. Alla luce di quanto esposto, l’ipotesi che vorrebbe anche i racconti biblici (e quindi gli stessi Ebrei) essersi originati nel Nord Europa potrebbe non essere totalmente infondata.

I quattro fiumi dell’Eden

Se dunque l’Etiopia di cui si parla nella Genesi è la stessa di cui parla Omero, dove si trovano l’Eden e i suoi quattro fiumi? A questo punto, rintracciare l’uno e gli altri non è più così difficile…

Partiamo proprio dal fiume che bagna l’Etiopia, il Ghicon: esso corrisponderebbe al fiume chiamato in norvegese Tana, curiosamente omonimo del più importante lago dell’Etiopia africana e del più lungo fiume del Kenya. Il Tana nordico sfocia nel Tanafjord, a oriente della penisola di Nordkinn, dopo aver percorso ben 256 km lungo il confine tra Finlandia e Norvegia, “tutto intorno” (come dice la Bibbia) al “paese d’Etiopia”, ossia la parte settentrionale della Norvegia: probabilmente già nell’antichità questo fiume, il terzo di tutta la Norvegia in quanto a lunghezza, segnava il confine (meridionale) dell’Etiopia nordica, e per tale motivo scorreva “intorno” ad essa.

Il fiume Tana/Ghicon. Da qui.

Il fiume Pison, che scorre nel paese di Avila, corrisponderebbe invece all’Ivalo, chiamato Avvil nella lingua dei Sami, il popolo indigeno della Lapponia. L’Ivalo sfocia nell’Inarijarvi (jarvi significa “lago” in finlandese), da cui si origina un altro corso d’acqua, il Pasvikelv, detto Paatsjoki in finlandese (elv e joki sono le parole rispettivamente norvegese e finlandese per “fiume”), che sfocia nel Mare di Barents. E in corrispondenza della foce di questo fiume si trova la penisola di Kirkenes, originariamente chiamata in norvegese Piselvnes, ovvero “promontorio del fiume Pis”.

La regione bagnata dall’Ivalo/Avvil (e, più a nord, dal Pasvikelv/Paatsjoki) corrisponderebbe dunque alla biblica Avila. Ma le corrispondenze non si limitano alla toponomastica: infatti, in quella zona si trova effettivamente l’oro, un oro particolarmente puro (ben 23 carati!) proprio come ci dice la Bibbia. Troviamo inoltre pietre come la calcedonia e il diaspro, simili alla “pietra d’onice”, e non manca ovviamente neanche la “resina odorosa”, prodotta dalle numerose conifere di cui il territorio è ricco. Anche in questo caso, il fiume scorreva “intorno” alla regione di Avila probabilmente perché ne delimitava il confine orientale, quello occidentale essendo delimitato verosimilmente dal Tana.

Infine, i corrispettivi nordici del Tigri e dell’Eufrate potrebbero essere rispettivamente il Kemijoki e il Tornionjoki, con i loro rispettivi immissari Ounasjoki e Muonionjoki. Questi fiumi sfociano nella parte settentrionale del Golfo di Botnia e delimitano una sorta di “Mesopotamia finnica” dove forse si trovava la regione di Assur citata nella Genesi. Il Muonionjoki/Tornionjoki, che oggi segna il confine tra Svezia e Finlandia, ne rappresentava molto probabilmente il confine occidentale, quello orientale essendo costituito dall’Ounasjoki/Kemijoki (che scorre “a oriente di Assur”). Inoltre, vicino alla foce del Kemijoki si trova la città di Kemi: ma Kemi era anche il nome copto dell’Egitto (Kemet nell’antica lingua egiziana), e ricorda anche la città egiziana di Akhmim, chiamata in greco Chemmi. Peraltro, Chemmi era anche il nome di una mitica isola situata nel delta del Nilo, dove Iside avrebbe nascosto il figlioletto Horus per proteggerlo da Seth; ed effettivamente vicino a Kemi si trovano diverse isole, che fanno parte del delta del Kemijoki.

Che anche gli Egizi (o almeno una parte di essi) fossero quindi di origine nordica? Questa ipotesi è suggerita fra l’altro dal ritrovamento di mummie di faraoni dai capelli biondi o rossi, tra cui ad esempio il celebre Ramses II; inoltre, uno studio pubblicato nel 2005 ha evidenziato la stretta affinità genetica (per quanto riguarda il DNA mitocondriale) tra i Sami e i Berberi, un popolo nordafricano dai tratti somatici europoidi, a cui forse apparteneva lo stesso Ramses. Per quanto riguarda invece la città di Chemmi, essa era ritenuta dai suoi abitanti, stando a quanto ci dice Erodoto (Storie, II, 91), la città d’origine di Perseo. E sempre Erodoto ci informa che secondo i Persiani, Perseo (il loro mitico antenato) era “assiro” (ibid., VI, 54). Le due affermazioni potrebbero sembrare in contraddizione fra loro, ma se osserviamo la posizione della Kemi finlandese, ci accorgiamo che si trova proprio in prossimità della regione da noi identificata come Assur (Assiria)! Sebbene la fondazione di questa città risalga al XIX secolo, non si può escludere che il nome (che significa “pianura per il pascolo”) derivi da quello di una località vicina abitata anticamente, che rappresentò forse il “prototipo” della Chemmi egizia e in cui secondo il mito nacquero gli antenati di Perseo, “assiro” poiché appunto originario della stessa “Assur” menzionata nella Genesi.

Dove si trovava dunque l’Eden? Esso corrisponderebbe alla regione di Enontekiö (“dove nascono grandi fiumi”), chiamata Eanodat in lingua Sami: qui, infatti, si trovano le sorgenti dei fiumi che abbiamo visto (o dei loro immissari), e quindi qui dovremmo localizzare il mitico “giardino” di cui l’autore biblico parla. In questa zona, vicino al confine con Svezia e Norvegia, si trova inoltre il monte Saana, sacro per i Sami come il Sinai per gli Ebrei. I Sami sono forse i veri Semiti, i discendenti del biblico Sem, figlio di Noè? La Bibbia racconta le peregrinazioni di Abramo e dei suoi discendenti, che erano nomadi e vivevano in tende (vedi ad esempio Genesi, 12, 8-9; 13, 3, 18; 20, 1)… proprio come i Sami! Chiaramente, le migrazioni e i mescolamenti dei vari popoli verificatisi nel corso dei millenni rendono difficile stabilire chi effettivamente abitava quei luoghi nell’antichità; vale comunque la pena di evidenziare le “coincidenze”, più numerose di quanto ci si potrebbe aspettare.

Come abbiamo visto, quindi, il passo della Genesi citato all’inizio dell’articolo non parla di luoghi di fantasia: al contrario, descrive in maniera accurata, seppur concisa, il territorio lappone, con le regioni in cui era suddiviso (forse verso l’inizio del IV millennio a.C.) e i loro confini, delimitati appunto da quei fiumi che ancora oggi sono i più importanti del territorio e svolgono la medesima funzione.

L’Eden e i suoi fiumi.

L’Eden e la Colchide

L’ipotesi di un’ubicazione così settentrionale dell’Eden biblico potrebbe trovare un’ulteriore conferma nella mitologia greca: infatti, la misteriosa regione di Avila citata nella Genesi viene talora associata alla Colchide, dov’era diretta la spedizione degli Argonauti in cerca del Vello d’Oro. La Colchide era un’antica regione situata ad oriente del Mar Nero, nell’odierna Georgia, nota già ai geografi antichi come una regione ricca di metalli preziosi, tra cui anche l’oro. Il principale fiume della Colchide era il Fasi, in greco detto Phasis o Phasin. Non vi ricorda nulla? Ma certo: si tratta del biblico Pison!

Tutto ciò potrebbe contraddire quanto abbiamo affermato finora in merito alla localizzazione nordica dei fiumi dell’Eden, ma in realtà il Fasi e la Colchide “storici” non hanno pressoché nulla a che vedere con il Fasi e la Colchide “mitici”, i loro “prototipi” situati con ogni probabilità molto più a nord. Vediamo perché.

Innanzitutto, accenni al mitico viaggio degli Argonauti (descritto compiutamente per la prima volta soltanto da Apollonio Rodio nel III secolo a.C.) si trovano già in Omero: per esempio nell’Iliade (VII, 467-469) si menziona il figlio che Giasone, capo della spedizione, aveva concepito a Lemno, dove gli Argonauti avevano sostato durante il viaggio, mentre nell’Odissea (XII, 69-72) si fa riferimento al passaggio della nave Argo (onde appunto il termine “Argonauti”) tra Scilla e Cariddi. Ciò fa pensare che anche questo racconto, come gli altri racconti omerici, sia di origine nordica.

In secondo luogo, l’itinerario percorso dagli Argonauti, in particolare quello di ritorno, è totalmente privo di senso se rapportato al Mediterraneo: infatti, prima di tornare in Grecia dalla Colchide (sulla costa orientale del Mar Nero), essi avrebbero fatto sosta sull’isola di Circe (nel Mar Tirreno)! Si tratta chiaramente di un percorso assurdo, e non a caso di questa parte del racconto esistono molte versioni discordanti: infatti, una volta perduta la memoria dell’originaria ambientazione delle vicende narrate, sono stati ipotizzati diversi itinerari (che includevano per esempio la risalita del Danubio e del Po) per rendere plausibile un viaggio geograficamente impossibile nel Mediterraneo. Ma possibilissimo, al contrario, nel Nord Europa: la nave Argo, raggiunto il nord della Scandinavia per via fluviale (forse passando attraverso i laghi Ladoga e Onega?), avrebbe in seguito fatto rotta verso ovest, raggiungendo l’isola di Circe, che il Vinci colloca lungo le coste norvegesi a nord del Circolo Polare Artico, e successivamente verso sud, per tornare nel Mar Baltico. La collocazione della Colchide nella Lapponia settentrionale (dove si troverebbe la biblica regione di Avila!) sarebbe perfettamente coerente con questo percorso, oltreché con le affermazioni del poeta greco Mimnermo, che mette in relazione la terra di Eete (il re della Colchide) con l’Oceano, dove Giasone avrebbe navigato (Frammento 11W e 11a). Oltretutto, il nome greco della Colchide (Kolkhis) riecheggia nel nome russo della penisola di Kola (Kolsky), compresa nella regione russa di Murmansk, confinante con la Finlandia settentrionale.

E il fiume Fasi? Esso viene citato da Esiodo tra gli dèi-fiumi (Teogonia, 338-345), insieme ad altri corsi d’acqua mai identificati nell’area mediterranea, a cominciare dall’Eridano, la cui identificazione con il Po è sempre stata molto dubbia. Il Fasi di cui parla Esiodo è dunque un fiume mitico, ma ciò non significa che fosse inesistente: semplicemente dev’essere collocato, insieme agli altri, nel suo reale contesto geografico, quel contesto in cui si originò la stessa mitologia “greca”: il Nord Europa, appunto. Pertanto il Fasi “mitico” andrà collocato in una Colchide ugualmente “mitica”, la cui identificazione con l’Avila citata nella Genesi appare abbastanza plausibile. Esso quindi potrebbe corrispondere proprio al Pasvikelv/Paatsjoki, che sfocia nel Mare di Barents (quindi vicino all’Oceano, ossia la Corrente del Golfo) e che abbiamo identificato (unitamente all’Ivalo/Avvil) con il Pison biblico.

Il fiume Ivalo/Pison/Fasi. Da qui.

Ma le sorprese non finiscono qui. Infatti, Erodoto ci informa che “Colchi, Egiziani ed Etiopi sono gli unici a praticare la circoncisione fin dalle origini” (Storie, II, 104) e che Colchi ed Egiziani “sono i soli due popoli a lavorare il lino nella stessa maniera. E nell’insieme il loro sistema di vita, come le loro lingue, si assomigliano” (ibid., II, 105). Erodoto riporta la credenza degli Egiziani secondo cui i Colchi discendevano da una parte dell’esercito del re Sesostri (ibid., II, 104); tuttavia, queste informazioni sono molto più coerenti con l’ipotesi di una comune origine di questi popoli, probabilmente da ricercarsi, come abbiamo visto, nel nord della penisola scandinava. Egiziani e Colchi sarebbero stati in origine un unico popolo, e durante la loro migrazione verso sud (con ogni probabilità antecedente alla diaspora dei popoli indoeuropei), una parte (i Colchi) si sarebbe stanziata lungo le rive del Mar Nero, mentre un’altra (gli Egiziani) avrebbe successivamente proseguito fino in Egitto. Peraltro, una presenza egizia nell’area caucasica era stata ipotizzata già nel 1926 dall’egittologo William Matthew Flinders Petrie, sulla base di tracce toponomastiche riscontrate in quella zona.

Dunque, poiché come i Colchi, gli Egiziani e gli Etiopi, anche gli Ebrei praticavano la circoncisione (Genesi, 17, 9-14), una comune origine (nordica, appunto) di tutti questi popoli appare ancora più plausibile, e rappresenterebbe un’ulteriore conferma all’ipotesi della localizzazione nordica dell’Eden.

Altri miti

Ricapitolando, è possibile che l’intera civiltà indoeuropea abbia avuto inizio nell’estremo nord dell’Europa, nel periodo compreso tra il 4500 e il 2000 a.C.: in seguito, a causa dei cambiamenti climatici, i popoli indoeuropei sarebbero migrati più a sud, dapprima forse rimanendo stanziati intorno al Mar Baltico, e successivamente, verso il 1500 a.C., disperdendosi nel resto dell’Europa, in Asia e in Africa. Se questa ipotesi fosse corretta e se il testo della Genesi rappresentasse una testimonianza di questa antica civiltà, dovremmo aspettarci di trovare racconti molto simili presso altri popoli di stirpe indoeuropea.

E in effetti è proprio così: due esempi significativi si possono ritrovare nella mitologia norrena e in quella indiana.

Secondo i miti norreni, il primo uomo e la prima donna, chiamati rispettivamente Askr ed Embla, vissero nel Midgardr (“giardino centrale”). E mentre nel caso dell’Eden biblico vengono menzionati due alberi, quello della vita e quello della conoscenza del bene e del male (Genesi, 2, 9), nel Midgardr norreno i primi due esseri umani vengono creati da due tronchi d’albero, e rappresentano essi stessi due alberi: il nome Askr significa infatti “frassino” ed Embla “olmo”. Da notare anche che Ymir, il gigante dal cui corpo gli dèi trassero il mondo (compreso il Midgardr, che fu costruito a partire dalle sue sopracciglia), venne nutrito da una vacca dalle cui mammelle fuoriuscivano quattro fiumi di latte.

Nei testi indiani, d’altro canto, troviamo la mitica regione di Uttarakuru, la cui descrizione, sebbene arricchita di numerosi particolari fantastici, conserva ancora degli elementi che possono permetterci di ipotizzarne l’ubicazione. Il Vayu Purana, per esempio, nei capitoli 42-43, descrive il monte Meru e i quattro fiumi che da esso nascono. Ogni fiume sfocia in un diverso oceano, in direzione di uno dei quattro punti cardinali. Ora, questa geografia, sebbene “mitica”, può trovare un corrispettivo proprio nell’area lappone, bagnata a nord dal Mare di Barents, a est dal Mar Bianco, a ovest dal Mar di Norvegia e a sud dal Golfo di Botnia. La regione di Uttarakuru, in cui scorre il fiume che si getta nell’oceano del nord, potrebbe corrispondere all’Etiopia di cui parlano sia Omero che l’autore della Genesi, così come il monte Meru potrebbe corrispondere all’Eden biblico. Peraltro, un “monte Meru” (un vulcano, per l’esattezza) si ritrova in Tanzania, a sud dell’Etiopia africana: furono gli Etiopi nordici, migrati in Africa durante la diaspora indoeuropea, ad assegnargli tale nome, così come con il lago e il fiume Tana? È curioso, infine, notare che il nome Uttarakuru significa “Kuru del Nord” e che nel sud della Finlandia esiste proprio una città di nome Kuru.

Dunque, l’idea di una “patria perduta” era radicata anche in altre culture oltre a quella ebraica. E la patria in questione era un luogo reale, il luogo dove questi popoli mossero i loro primi passi e la cui memoria rimase anche dopo la loro migrazione verso sud, sebbene pian piano affievolendosi. Ovviamente, questi racconti hanno anche dei significati squisitamente mitici, che però non ci interessa indagare in questa sede.

Conclusioni

Da quanto sopra esposto, risulta molto probabile che il mitico giardino dell’Eden sia da ricercarsi tra i laghi e i fiumi della Lapponia piuttosto che sugli altipiani turchi o nella Mezzaluna fertile. Questa localizzazione, suggerita da indizi geografici, toponomastici e mitologici, è coerente anche con l’ipotesi dell’origine nordica della civiltà indoeuropea, il cui sviluppo potrebbe aver avuto inizio in quella stessa regione intorno al IV millennio a.C., curiosamente proprio il periodo a cui la cronologia biblica fa risalire la creazione di Adamo; un “Adamo” che però non va confuso con “l’uomo” menzionato nel primo capitolo della Genesi. Molto probabilmente, infatti, il primo e il secondo capitolo della Genesi si riferiscono ad eventi differenti: l’uno è il racconto della Creazione vera e propria, l’altro è una reminiscenza del primigenio mondo indoeuropeo. I due racconti si sono poi fusi (e confusi) fra loro, ma la loro diversa origine è confermata dal differente termine per indicare la divinità, “Elohim” nel primo e “Yahvè” nel secondo.

Manca ancora, per confermare definitivamente questa ricostruzione, la “pistola fumante”, la prova archeologica. Tuttavia, bisogna tener presente che le eventuali civiltà sviluppatesi nel Nord Europa intorno al 4000 a.C., sebbene tutt’altro che primitive, sarebbero state probabilmente meno avanzate delle loro “controparti” mediterranee: come fa notare il Vinci, ad esempio, la Troia omerica (che lui colloca nell’odierna Finlandia) aveva molto probabilmente mura di legno; tutt’altra cosa, insomma, rispetto alle poderose fortificazioni di età micenea. Pertanto, il ritrovamento nell’area lappone di resti archeologici attribuibili ad un’originaria “civiltà indoeuropea” potrebbe non essere così facile. Se comunque anche l’archeologia confermasse le ipotesi suggerite in questo articolo, avremmo la prova definitiva della veridicità della narrazione biblica, che verrebbe così a rappresentare una preziosa testimonianza storica di un mondo nordico ormai perduto.

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