10 Anni di Nuove Scoperte in Anatomia

Capillare epatico con alcuni globuli rossi all’interno, visto al microscopio elettronico a scansione. Da qui.

Leggendo il titolo di questo articolo vi sarete chiesti: “Ma come? Il corpo umano non era già stato esplorato in ogni recesso? Com’è possibile che ci sia ancora qualcosa da scoprire?”.

Ebbene sì: la nostra anatomia ci riserva ancora oggi delle sorprese. Negli ultimi anni sono state fatte diverse interessanti scoperte, dalle altrettanto interessanti implicazioni. Potrà sembrare strano che nessuno, dall’epoca di Vesalio fino ad oggi, avesse mai notato certi particolari, eppure è proprio così. Ciò, tuttavia, non è dovuto tanto alla disattenzione degli antichi anatomisti, quanto alla messa a punto di sofisticate tecniche d’indagine, avvenuta solo di recente. In ogni caso, tali scoperte dimostrano l’importanza di non dare mai nulla per scontato e di non disdegnare ricerche che potrebbero apparire inutili: rovistando in un cassetto vuoto, potremmo pur sempre scoprire un doppio fondo…

Vediamo dunque alcune delle ultime scoperte in campo anatomico. Sebbene il titolo faccia riferimento agli ultimi dieci anni, la gran parte di queste scoperte risale agli ultimi cinque.

Vasi linfatici nel sistema nervoso centrale

“Il sistema nervoso centrale è sprovvisto di vasi linfatici”. Questa è, grosso modo, la frase riportata su qualsiasi libro di anatomia. Eppure, questa nozione è stata recentemente messa in discussione: due ricerche pubblicate nel 2015, infatti, hanno dimostrato la presenza di questi vasi nelle meningi, le guaine di tessuto connettivo che avvolgono il cervello.

Posizione dei vasi linfatici nelle meningi (a sinistra) e percorso dei fluidi dal tessuto cerebrale ai vasi linfatici (a destra). Da Louveau et al. (2015).

Come nel caso di altre scoperte trattate in questo articolo, anche questa è stata possibile grazie all’impiego di tecniche innovative: in uno dei due lavori pioneristici sul tema, per esempio, i ricercatori hanno svolto la procedura di fissazione (che serve per bloccare i processi degenerativi del tessuto una volta che questo è stato prelevato dall’organismo) sulle meningi di topo in situ, prima dell’asportazione. Sono riusciti in questo modo a preservare la struttura dei vasi linfatici. In uno studio successivo, invece, l’impiego della risonanza magnetica ha reso possibile visualizzare queste strutture anche nell’uomo.

Vasi linfatici meningei (in verde) nel cervello umano. Da Absinta et al. (2017).

Questa scoperta ha avuto dei notevoli risvolti: ha dimostrato infatti il collegamento tra il sistema immunitario e il sistema nervoso, tradizionalmente ritenuto un sito “immunologicamente privilegiato”, cioè appunto “scollegato” dal sistema immunitario. Ciò potrebbe aiutare a spiegare la causa di molte malattie neurodegenerative.

Oscillazioni nelle dimensioni del fegato

È possibile che un organo interno possa variare le sue dimensioni? Ovviamente sì: lo stomaco e i polmoni, per esempio, devono dilatarsi per incamerare, rispettivamente, il cibo ingerito e l’aria inspirata. Ma recentemente è stato mostrato che anche il fegato può aumentare e ridurre le sue dimensioni. In questo caso, però, il cambiamento non è dovuto alla mera dilatazione, bensì ad una vera e propria variazione nella massa.

Questa scoperta è stata pubblicata nel 2017 sulla rivista Cell. A dire il vero, già negli anni ’80 alcune analisi avevano rilevato dei cambiamenti nelle dimensioni del fegato umano (Leung et al., 1986). Tuttavia, queste osservazioni erano cadute nel dimenticatoio, finché la ricerca in questione non ha documentato lo stesso processo nei topi.

Gli autori dello studio hanno mostrato che le oscillazioni nelle dimensioni del fegato sono dovute ai cambiamenti del numero e dell’attività dei ribosomi, le strutture cellulari responsabili della produzione delle proteine: maggiore sintesi proteica comporterà una maggiore massa cellulare, e viceversa. A loro volta, questi cambiamenti sono dovuti al ritmo circadiano e all’assunzione di cibo; ciò non sorprende, dato che il fegato svolge numerose funzioni metaboliche e deve quindi adattarsi alle mutevoli esigenze che l’organismo manifesta durante il giorno.

Variazioni cicliche nelle dimensioni delle cellule epatiche portano all’aumento e alla riduzione delle dimensioni del fegato durante il giorno. Da Sinturel et al. (2017).

Poiché i topi sono animali notturni, il loro orologio biologico li porta ad essere attivi e a nutrirsi di notte e a riposarsi durante il giorno. Topi nutriti in accordo con il loro naturale ritmo circadiano, cioè di notte, presentavano oscillazioni nella massa del fegato (che di notte aumentava), mentre ciò non si verificava nei topi nutriti di giorno. Ciò è di estremo interesse poiché dimostra l’importanza di “cicli naturali” sui quali alcuni organi (come appunto il fegato) devono essere sintonizzati per funzionare in modo efficiente.

Oscillazioni nelle dimensioni del fegato in topi nutriti in accordo o meno con il loro orologio biologico naturale. Da Sinturel et al. (2017).

Interstizio

Esistono tre tipi principali di fluidi corporei: il sangue, il liquido intracellulare ed il liquido extracellulare. Il sangue, come sappiamo, è racchiuso all’interno del sistema circolatorio, mentre il liquido intracellulare si trova dentro le cellule. E il liquido extracellulare? Esso occupa gli spazi tra le cellule, in particolare nel tessuto connettivo. Fino a poco tempo fa si credeva che questi spazi fossero dei semplici “anfratti”, ma recentemente è stato scoperto che il fluido scorre in una vera e propria rete di canali, che i ricercatori hanno definito interstizio.

Lo studio è stato pubblicato nel 2018 sulla prestigiosa rivista Nature. I ricercatori hanno impiegato un’innovativa tecnica di microscopia che consente di osservare la struttura dei tessuti anche in vivo (cioè nell’organismo vivente). Tale tecnica ha permesso di individuare una strana struttura reticolare che giaceva al disotto della mucosa dei dotti biliari e pancreatici, mai osservata prima. Ulteriori analisi hanno mostrato che questa struttura era una rete di canali destinati ad ospitare il fluido extracellulare, delimitati da cellule e da fibre collagene ed in comunicazione col sistema linfatico.

L’interstizio osservato in vivo. Da Benias et al. (2018).

Ma perché questa struttura non era mai stata osservata? Semplice: per facilitare l’osservazione al microscopio, i tessuti vengono sottoposti ad una serie di trattamenti, tra cui la disidratazione. Ciò comporta il collasso di questi spazi, che al microscopio non risultano più visibili. Congelando il tessuto, invece, gli spazi rimangono pervi e possono essere visualizzati al microscopio.

A sinistra, tre micrografie di un dotto biliare: solo in quella a sinistra, ottenuta da un tessuto congelato, gli spazi (evidenziati dagli asterischi) sono visibili; nelle altre due, ottenute da tessuti trattati con metodiche standard, gli spazi (frecce) sono invece collassati. A destra, ricostruzione in 3D dell’interstizio. Da Benias et al. (2018).

È stato appurato anche che questo “interstizio” è presente in numerosi altri tessuti e organi: pelle, polmoni, stomaco, vasi sanguigni, eccetera. Per questo motivo è stato proposto di elevare questa struttura al rango di organo.

Vasi transcorticali nelle ossa

Com’è noto, anche le ossa ospitano vasi sanguigni: alcuni di questi irrorano il midollo (che in alcuni casi ospita i precursori delle cellule ematiche), mentre altri s’insinuano nella parte mineralizzata per nutrire le cellule ivi residenti, gli osteociti. E fin qui, appunto, nulla di nuovo. Ma nel 2019 sono stati descritti dei vasi sanguigni mai osservati prima, che sono stati denominati vasi transcorticali. Incredibile, vero?

Nello studio sono stati analizzati alcuni femori di topo. La struttura del femore, come pure delle altre ossa lunghe, è grosso modo paragonabile a quella di un tronco cavo, dove l’osso rappresenta il legno e nella cui cavità si trova il midollo osseo.

Esaminando l’osso era possibile osservare, sulla sua superficie, numerosi versamenti puntiformi di sangue, forse provenienti da vasi sanguigni che si aprivano in loco. La microscopia elettronica a scansione ha rafforzato questa ipotesi, rivelando la presenza di piccole aperture larghe 10-20 millesimi di millimetro. I ricercatori hanno quindi applicato un’innovativa tecnica che consente di rendere l’osso trasparente. In tal modo, si sono resi conto che queste aperture erano quelle di vasi sanguigni che attraversavano l’osso perpendicolarmente al suo asse, dal midollo fino alla superficie: per questo i vasi sono stati definiti “transcorticali”. In seguito la presenza di questi vasi è stata dimostrata anche nell’uomo.

Sbocchi dei vasi transcorticali visibili sul femore di un topo (a-b). Le aperture sono meglio apprezzabili al microscopio elettronico a scansione (c-e). Da Grüneboom et al. (2019).

Ma a cosa servirebbero i vasi transcorticali? Secondo gli autori della ricerca, essi sarebbero particolarmente utili per la mobilitazione dei globuli bianchi, i quali, prodotti nel midollo osseo, userebbero questi vasi come “scorciatoia” per raggiungere gli altri tessuti dell’organismo. Inducendo la produzione di globuli bianchi somministrando all’animale dei fattori di crescita, i ricercatori hanno osservato infatti che le cellule transitavano proprio per questi vasi.

Vasi transcorticali. Alcuni osteoclasti (cellule che “rodono” l’osso, in rosso) si trovano lungo i vasi e sono indispensabili per la loro formazione e il loro rimodellamento. Da Grüneboom et al. (2019).

Ghiandole salivari tubariche

E infine una scoperta recentissima, risalente allo scorso anno e pubblicata sulla rivista Radiotherapy and Oncology lo scorso gennaio: delle nuove ghiandole salivari! Proprio così: oltre a parotidi, sottomandibolari e sottolinguali, adesso sappiamo di avere anche le ghiandole salivari tubariche.

Come suggerisce il nome, queste ghiandole si trovano in prossimità delle tube di Eustachio, nella parte posteriore della faringe. Esaminando un centinaio di pazienti oncologici, i ricercatori si sono accorti che in tutti quanti la PET evidenziava, insieme alle ghiandole salivari già note, delle strutture sconosciute nella rinofaringe, presumibilmente ghiandole dello stesso tipo. In seguito, analisi anatomiche ed istologiche eseguite su cadaveri hanno confermato questa ipotesi.

Ghiandole salivari tubariche visualizzate con la PET (a sinistra) e ricostruite in 3D (a destra). Da Valstar et al. (2021).

La scoperta ha inoltre un’importante applicazione clinica: infatti, è stato osservato che queste ghiandole vengono danneggiate dai trattamenti radioterapici, il che causa disturbi quali disfagia (difficoltà a deglutire) e xerostomia (secchezza delle fauci). La loro identificazione permetterà di modulare la terapia in modo da evitare il più possibile questi danni.

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