Alla Ricerca dell’Airyana Vaeja

Mappa del 1599 raffigurante le regioni circumpolari: la mitica terra di Airyana Vaeja potrebbe trovarsi proprio in questa zona del globo. Da qui.

In questo blog avevamo già affrontato l’argomento della sede originaria dei popoli indoeuropei, che avevamo localizzato nell’estremo nord dell’Europa. In questo articolo ci occuperemo, nello specifico, della terra d’origine del popolo iranico, la misteriosa Airyana Vaeja (detta anche Airyanem Vaejah o Airyana Vaejo), che potrebbe trovarsi ancora più a nord, non lontana dal Polo.

La geografia dell’Avesta

L’Avesta è la raccolta dei testi sacri dello Zoroastrismo, la religione dei popoli iranici. Il testo che ci interessa per la nostra ricerca è la Vendidad, e in particolare i primi due fargard (capitoli). In questo paragrafo esamineremo il primo di questi, quello più spiccatamente “geografico”.

Il testo esordisce enumerando le sedici terre create dal dio supremo Ahura Mazda. La prima di esse è proprio l’Airyana Vaeja, il cui nome significa “seme (o espansione) degli Ariani”. A differenza delle altre regioni elencate, la maggior parte delle quali localizzata nell’attuale Iran, l’Airyana Vaeja non è stata identificata con certezza. Ma vediamo se il testo ci fornisce dei dettagli in merito.

Antica mappa (1740 circa) della Persia e delle regioni in cui era suddivisa. Da qui.

Bisogna sapere, innanzitutto, che il dio Ahura Mazda aveva un avversario, Angra Mainyu, che cercava di rovinare tutto ciò che egli creava. Così, su ogni terra creata da Ahura Mazda, Angra Mainyu inviò delle “piaghe”: insetti nocivi, caldo eccessivo, vari tipi di peccati, e così via. Anche l’Airyana Vaeja aveva la propria piaga: un lunghissimo e rigido inverno. Il testo precisa infatti che in quel luogo “ci sono dieci mesi d’inverno e due d’estate; e anche quelli sono freddi per le acque, freddi per la terra, freddi per gli alberi. Là cade l’inverno, la peggiore delle piaghe” (I, 3).

Ora, come fece notare già ai primi del ‘900 lo studioso indiano Bal Gangadhar Tilak, un clima di questo tipo è caratteristico delle regioni artiche. Il Tilak studiò a fondo i Veda (i testi sacri indiani) e mostrò come i fenomeni astronomici ivi descritti sarebbero stati osservabili solo dall’estremo settentrione. Ma cosa c’entrano i Veda con l’Avesta? Semplice: i loro autori appartenevano a due rami differenti dello stesso popolo, quello degli Arii (o Ariani). Dunque se i primi vissero in prossimità del Polo Nord, sarà lì che dovremo ricercare anche i secondi (ovviamente ci riferiamo agli autori originari, non a chi – molto più tardi – mise per iscritto queste opere, fino a quel momento tramandate oralmente).

Il Tilak, per l’appunto, individuò nel passo dell’Avesta sopra citato un’ulteriore prova delle origini artiche degli Arii (di cui gli Iranici costituivano un ceppo). Ora, ci si chiederà come una civiltà abbia potuto nascere e svilupparsi in luoghi così freddi. In realtà, come vedremo meglio più avanti, migliaia di anni fa l’Artico godeva di un clima, se non temperato, certamente assai più mite dell’attuale (con buona pace dei predicatori del “riscaldamento globale”…). Lo sviluppo di una civiltà, perciò, sarebbe stato teoricamente possibile anche a queste latitudini.

Ma esiste un luogo preciso che possa essere identificato con l’Airyana Vaeja? Per scoprirlo, ci tornerà assai utile proseguire la lettura della Vendidad: seguiremo le vicende del primo sovrano di questa terra misteriosa, il leggendario Yima.

Il mito di Yima

La storia di Yima si trova nel secondo fargard della Vendidad. Secondo il testo, Yima fu il primo uomo a cui si manifestò Ahura Mazda. Il dio gli chiese di diffondere la sua religione, ma Yima, non ritenendosi all’altezza di tale compito, rifiutò. Allora Ahura Mazda gli propose di governare e far crescere il mondo, e Yima accettò la proposta.

Sotto il governo di Yima, il mondo prosperò per “trecento inverni” e “si riempì di mandrie e greggi, con uomini e cani e uccelli e con fuochi rossi ardenti, e non c’era più posto per mandrie, greggi, e uomini” (II, 8). Ahura Mazda avvisò Yima della sovrappopolazione; egli allora, rivoltosi verso sud, pronunciò una preghiera, percuotendo la terra con un sigillo d’oro e forandola con un pugnale (due oggetti donati a lui dal dio): in questo modo, fece aumentare di un terzo le dimensioni della Terra.

Il mondo tornò così a prosperare, ma la situazione si ripresentò dopo altri trecento inverni: Yima, nuovamente avvertito da Ahura Mazda, ripeté lo stesso procedimento e questa volta la grandezza della Terra aumentò di due terzi. La stessa cosa si verificò dopo altri trecento inverni: Yima allora fece crescere ulteriormente la Terra, anche stavolta di due terzi.

Prima di proseguire con la storia, apriamo una breve parentesi sull’argomento “espansione della Terra”. L’idea che il nostro pianeta possa espandersi non sembra del tutto infondata: i margini dei continenti, infatti, combacerebbero perfettamente tra loro solo su una Terra più piccola dell’attuale; inoltre, i dinosauri (e i Giganti?) avrebbero potuto camminare solo su un pianeta con una gravità assai minore dell’attuale (poiché – appunto – più piccolo). In questo caso, tuttavia, il mito delle tre espansioni potrebbe avere una spiegazione molto più semplice: si sarebbe trattato di tre ondate migratorie successive (probabilmente dirette verso sud).

Un manoscritto della Vendidad. Da qui.

Torniamo alle avventure di Yima. Erano passati ormai novecento anni dall’inizio del suo regno, quando Ahura Mazda lo avvertì che presto dei rigidi inverni si sarebbero abbattuti sulla terra. La neve sarebbe caduta fitta e in seguito si sarebbe sciolta, provocando un’immane inondazione. Perciò il dio ordinò a Yima di costruire un Vara, cioè una sorta di bunker sotterraneo, come riparo. Non solo: nel Vara Yima avrebbe dovuto portare i “semi” di uomini, animali e piante, per conservarli.

Ma com’era fatto questo Vara? Sappiamo che aveva la forma di un quadrato, i cui lati erano lunghi circa due miglia (!). Era composto da tre parti (livelli?) di dimensioni differenti. Nella parte più grande c’erano nove “strade”, in quella intermedia sei e nella più piccola tre. Simile era la proporzione del loro contenuto di “semi” umani (mille, seicento e trecento, rispettivamente). Ma cos’erano queste “strade”? Degli angusti cunicoli? O semplicemente dei corridoi che separavano file di scaffali?

Yima, secondo quanto ordinatogli da Ahura Mazda, portò nel Vara i “semi” (sperma e ovuli?) di uomini e donne, facendo però un’accurata selezione dei migliori: i soggetti malvagi, con difetti fisici o con malattie di qualsiasi tipo erano infatti esclusi. Yima selezionò in modo simile anche i semi del bestiame, degli alberi e dei frutti, portandone nel Vara due di ogni tipo.

Nel Vara Yima costruì anche un canale per trasportare l’acqua, lungo ben un miglio, e realizzò delle dimore. Pose anche degli uccelli “sul verde che non scolorisce, con cibo che non marcisce” (II, 34). Infine, fornì la struttura di un’illuminazione artificiale (nel testo si parla di una “finestra”, che viene distinta dalle “luci increate”, ovvero il Sole, la Luna e le stelle). Sembra insomma che Yima avesse a disposizione una tecnologia non molto diversa da quella attuale…

Il capitolo si conclude affermando che ogni quarant’anni nel Vara nasce una coppia di esseri umani (maschio e femmina) e di ogni specie di bestiame. Gli uomini nel Vara vivono “la vita più felice”; secondo un antico Commentario, vivrebbero per 150 anni o addirittura non morirebbero mai

Una possibile localizzazione

E veniamo adesso alla possibile ubicazione dell’Airyana Vaeja. Abbiamo già visto che la descrizione di questo posto sembra richiamare uno scenario artico: dunque esso andrà ricercato in una zona compresa tra il Polo Nord e il corrispondente circolo polare. Ebbene, il luogo attualmente abitato più settentrionale del globo è l’arcipelago delle Svalbard, che raggiunge gli 81° di latitudine nord. Potrebbe essere questa la mitica terra che stiamo cercando? Esaminiamola più nel dettaglio.

Geografia

L’arcipelago delle Svalbard si trova a circa metà strada tra le coste settentrionali della Norvegia e il Polo Nord. Le isole principali (la più grande delle quali è quella di Spitsbergen) sono una decina, ma vi sono anche numerose isole più piccole. Sebbene il territorio sia amministrato dalla Norvegia, chiunque può trasferirvisi stabilmente senza permesso di soggiorno.

Mappa dell’Oceano Artico. L’arcipelago delle Svalbard è colorato in verde.

In virtù della loro posizione geografica, le Svalbard sperimentano il fenomeno della “notte polare”, che si protrae approssimativamente da fine ottobre a metà febbraio. Al contrario, nel periodo compreso tra aprile e agosto, il sole non scende mai sotto l’orizzonte. Comunque, la gran parte del territorio resta coperta per tutto l’anno dai ghiacci, coerentemente con quanto affermato dalla Vendidad. Il suolo è rappresentato dal cosiddetto “permafrost”, ovvero terreno permanentemente gelato.

La flora dell’arcipelago non è particolarmente ricca, ma è comunque molto varia per un luogo artico (oltre 160 specie di piante vascolari). Gli alberi sono assenti, ma vi sono diversi arbusti, come la betulla nana e il salice polare; possiamo trovare anche alcuni frutti, come il lampone artico. Tra gli animali un posto di rilievo è occupato dagli uccelli, soprattutto da quelli marini: in tutto sono presenti una trentina di specie. Tra i mammiferi, spicca l’orso polare, ma l’arcipelago ospita anche la volpe artica, la piccola renna delle Svalbard e diverse specie di pinnipedi e cetacei.

Paleoclimatologia

L’attuale clima delle Svalbard è piuttosto inclemente: le temperature medie estive, infatti, si aggirano intorno ai 5 °C, mentre quelle invernali sui –15 °C. Ma… è sempre stato così?

Ovviamente, no. In realtà anche oggi il clima delle Svalbard è relativamente mite se rapportato a quello di altri territori artici: le isole occidentali infatti sono lambite dai rami della calda Corrente del Golfo. Ma in passato (complice, con ogni probabilità, una minore latitudine) il clima dell’arcipelago era molto più mite dell’attuale: basti pensare che vi sono stati ritrovati perfino fossili di piante tropicali!

Questi fossili, tuttavia, risalirebbero ad epoche remote, quando l’uomo – ufficialmente – nemmeno esisteva. Tuttavia, recenti ricerche scientifiche hanno mostrato che anche in tempi più vicini a noi le condizioni climatiche delle Svalbard erano decisamente più favorevoli di quelle odierne.

In questo studio del 2017 gli autori hanno analizzato i resti fossili dei molluschi presenti nell’arcipelago. Alcuni dei fossili rinvenuti, risalenti al primo Olocene (circa 10.000 anni fa), appartenevano ad animali tipici di acque più calde: oggi infatti il loro limite di distribuzione settentrionale si trova circa 1000 km più a sud. Ciò significa che le temperature medie estive, in quel periodo, erano assai maggiori di quelle odierne: circa di 6 °C, secondo gli autori. Il periodo climaticamente più favorevole sarebbe durato circa 2000 anni, con un picco tra i 10.200 e i 9.200 anni fa. In seguito il clima si sarebbe raffreddato, ma le temperature si sarebbero attestate su valori simili a quelli attuali solo 5000 anni fa, verso il 3000 a.C.

A sinistra, distribuzione nel tempo dei fossili di alcune specie di molluschi. A destra, andamento delle temperature estive nelle Svalbard, ricostruito in base ai fossili. Da Mangerud e Svendsen (2017).

Dunque la storia climatica delle Svalbard rispecchia alla perfezione quanto asserito nella Vendidad a proposito dell’Airyana Vaeja: abbiamo una terra ridente e favorevole allo sviluppo della civiltà che si tramuta in un luogo freddo e inospitale. Ma è possibile “incrociare” i dati scientifici con quelli mitologici? In altre parole, è possibile collocare con precisione, nel tempo, il regno del leggendario Yima e il successivo tracollo climatico?

A mio parere, non è difficile. Osserviamo intanto quest’altro grafico, che riporta le variazioni di temperatura occorse sul pianeta negli ultimi 16.000 anni circa. È possibile notare che, dopo la fine del Dryas Recente (9600 a.C. circa) il clima si fece assai più mite: ciò accadde anche nelle Svalbard, come confermato dallo studio citato poc’anzi. Tuttavia, intorno al 6200 a.C., si verificò un brusco raffreddamento, dovuto forse allo scioglimento di una calotta glaciale e durato circa 150 anni. Che sia proprio questo l’evento in previsione del quale Yima costruì il Vara?

Andamento della temperatura globale a partire dalla fine dell’ultima Era Glaciale.

Alcune coincidenze sembrerebbero suggerire proprio questo. La durata di questo periodo, infatti, è identica all’età raggiunta dagli uomini che avrebbero vissuto nel Vara, ossia 150 anni. Inoltre, secondo la tradizione, Yima avrebbe regnato nel Vara per 100 anni. Nello studio precedentemente citato questo evento non è stato individuato con precisione: i dati raccolti sembrano mostrare piuttosto un raffreddamento graduale. In ogni caso, il raffreddamento si sarebbe interrotto proprio in corrispondenza della stessa data, dopo la quale le temperature avrebbero ripreso a salire. Pertanto, potremmo collocare i rigidi inverni preannunciati da Ahura Mazda in questo periodo, e l’inizio del regno di Yima intorno al 7000 a.C.

Un’ultima curiosità: la data del 6200 a.C. è molto vicina a quella in cui alcuni autori antichi (Plinio il Vecchio, Plutarco, Diogene Laerzio…) collocavano il profeta Zoroastro (fondatore – appunto – dello Zoroastrismo). Egli infatti sarebbe vissuto 5000 anni prima della Guerra di Troia, di solito collocata intorno al 1200 a.C. E secondo la tradizione, anche Zoroastro sarebbe vissuto nell’Airyana Vaeja, che infatti dopo il 6200 a.C. tornò ad avere un clima piuttosto mite. Forse, quindi, le Svalbard rimasero abitate ancora per alcuni millenni, finché gli Arii non migrarono nella loro sede attuale.

Un Vara moderno

C’è anche un altro elemento che accomuna le isole Svalbard alla mitica Airyana Vaeja: la presenza di un Vara! Proprio così: anche nelle Svalbard si trova una struttura paragonabile a quella realizzata da Yima. Si tratta dello Svalbard Global Seed Vault (“Deposito Mondiale di Semi delle Svalbard”), una banca di semi realizzata nel 2008 in previsione di catastrofi o cambiamenti climatici che potrebbero mettere a rischio la biodiversità. Per questo motivo, la struttura è stata definita anche “giardino dell’Eden ibernato” e “Deposito del Giorno del Giudizio”: curioso, non è vero?

Il Deposito si trova nell’isola di Spitsbergen ed è scavato nella roccia di una montagna, in cui si estende per quasi 150 metri. Il sito possiede diverse peculiarità che lo rendono perfetto per ospitare una struttura simile:

  • È ben al di sopra del livello del mare, e quindi al riparo da eventuali inondazioni;
  • Ha una bassa attività tettonica, che comporta un ridotto rischio sismico;
  • Il permafrost che ricopre la struttura agisce da congelatore naturale;
  • Grazie alla bassa temperatura e umidità, i semi immagazzinati possono sopravvivere per secoli o addirittura millenni.

Altre informazioni in merito sono riportate nell’infografica qui sotto.

Infografica del Deposito Mondiale di Semi delle Svalbard. Da qui.

È d’obbligo, a questo punto, fare un raffronto tra il Deposito moderno e il Vara costruito da Yima. Ecco i parallelismi tra le due strutture:

  • Entrambe sono delle “banche di semi”;
  • Entrambe sono costruite in previsione di un cambiamento climatico;
  • Entrambe sono sotterranee;
  • Entrambe hanno tre stanze divise da strade/corridoi;
  • Entrambe (poiché sotterranee) hanno un sistema di illuminazione artificiale.

Insomma, il Deposito è a tutti gli effetti equiparabile al Vara descritto nella Vendidad. Da notare, peraltro, che se l’Airyana Vaeja corrispondeva davvero all’arcipelago delle Svalbard, era anche il posto migliore in assoluto per realizzare una struttura del genere. Questo, a mio parere, è un dettaglio altamente significativo, che rafforza notevolmente l’ipotesi proposta in questo articolo.

Tutto ciò fa sorgere spontanea una domanda: e se da qualche parte, non lontano dal “Vara moderno”, si trovassero tuttora le tracce di quello “originale”? Agli archeologi l’ardua sentenza…

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