La Separazione del Cielo e della Terra

Mosaico romano del III secolo raffigurante gli dèi Aion (con la fascia dello zodiaco) e Tellus (con i quattro figli che rappresentano le stagioni), i corrispettivi romani degli dèi greci Urano e Gea.

Ci fu un tempo, ci narra il mito, in cui Cielo e Terra erano uniti. Ma che cosa significa? Che cosa indicano davvero le parole “cielo” e “terra”? Chi (o che cosa) li separò, e perché? A queste domande niente affatto banali cercheremo di rispondere in questo breve articolo.

Urano, Gea e Crono

La storia che andremo a raccontare, nella sua versione più famosa, si trova nella mitologia greca; ce ne parla in particolare Esiodo nella Teogonia. Questo mito era noto però anche ad Ittiti e Hurriti, due popoli dell’Asia minore; si pensa anzi che fu proprio da lì che la storia giunse in Grecia.

I protagonisti del mito sono – appunto – il Cielo e la Terra, rappresentati rispettivamente da Urano e Gea (o Gaia). Urano, il “Padre Cielo”, generò da Gea, la “Madre Terra”, i mostruosi e irrequieti Ciclopi, che in seguito cacciò nel Tartaro generando altri figli, i Titani. Ma Gea volle vendicarsi della cacciata dei Ciclopi e così istigò i Titani contro il loro padre; essi quindi lo assalirono guidati da Crono, il più giovane di essi, che gli afferrò i genitali e li recise con un falcetto, scaraventandoli poi in mare. Alcune gocce di sangue caddero sulla Madre Terra, che generò le tre Erinni.

Questo il racconto tramandatoci dagli antichi Greci. Ma come possiamo interpretarlo? Per prima cosa, dobbiamo capire che cosa rappresentino davvero Urano e Gea, il Padre Cielo e la Madre Terra. Qualcuno potrebbe essere tentato di interpretare Urano come lo spazio infinito e Gea come il pianeta Terra. Ma una simile interpretazione non tiene conto della mentalità degli antichi: siamo noi, uomini del terzo millennio, a immaginare la Terra come una biglia che vaga nel vuoto cosmico; gli antichi però avevano una visione molto diversa, che definire semplicemente “geocentrica” sarebbe riduttivo.

Nel 1969, Giorgio de Santillana ed Hertha von Dechend pubblicarono Il Mulino di Amleto, un libro a tutt’oggi fondamentale per chiunque sia interessato all’interpretazione dei racconti mitologici. La teoria dei due autori, in breve, è che nei miti fossero codificate informazioni astronomiche, in particolare inerenti alla precessione degli equinozi. E sono proprio loro a suggerire una possibile interpretazione per il mito dell’evirazione di Urano…

In pratica, secondo i due autori, Urano rappresenterebbe l’equatore celeste, mentre Gea l’eclittica. All’origine i due genitori celesti erano uniti: ciò significa che l’equatore celeste e l’eclittica coincidevano o, in altre parole, che l’asse terrestre non era inclinato bensì “dritto”, perpendicolare all’eclittica. Tale situazione garantiva al nostro pianeta una situazione climatica perennemente favorevole, una “eterna primavera” insomma. Lo spostamento dell’asse terrestre portò alla brusca rottura di questa armonia, dando via al movimento “a trottola” della Terra e, di conseguenza, alla precessione degli equinozi, nonché alle stagioni (ecco spiegato il ruolo di Crono, il Tempo).

La castrazione di Urano in una miniatura del XV secolo.

Come già accennato, ritroviamo lo stesso mito anche presso altri popoli: presso gli Ittiti, Kumarbi (Crono) stacca con un morso i genitali del dio del cielo Anu (Urano), e in Egitto Shu separa Geb, dio della terra, da Nut, dea del cielo. In altri miti, l’accento viene posto invece sull’abbattimento di un grande albero, chiaro simbolo dell’asse terrestre: da alcuni popoli, come i Pigmei africani e gli Acawai della Guyana, questo evento viene associato al Diluvio.

A questo punto dovremmo avere già una visione abbastanza chiara delle cose: moltissimo tempo fa, il nostro pianeta fu interessato da un immane cataclisma provocato dallo spostamento dell’asse terrestre: questo evento è simboleggiato nei miti ora dall’abbattimento di un albero (un’immagine forse più intuitiva), ora dalla separazione di due divinità, una celeste e l’altra terrestre, dapprima unite. Resta da capire, però, che cosa provocò un evento così catastrofico e gravido di conseguenze nefaste. Ebbene, come vedremo fra un attimo, nel mito c’è una risposta anche a questo interrogativo.

La Luna

Crono, come abbiamo visto, adoperò un falcetto per recidere i genitali del padre Urano. Ma la falce è un chiaro simbolo della Luna, e alla Luna rimanda anche il riferimento alle tre Erinni nate dal sangue di Urano, che secondo Robert Graves (autore de I miti greci) in questo caso rappresentano la triplice dea, ovvero la Luna.

È possibile quindi che lo spostamento dell’asse terrestre documentato dalla mitologia sia stato provocato dalla Luna? Inutile cercare risposte dagli astronomi: sebbene anch’essi siano d’accordo sul fatto che l’inclinazione dell’asse sia stata provocata da un cataclisma (nello specifico, l’impatto con un corpo celeste), l’idea che l’uomo fosse già presente sulla Terra quando ciò avvenne è praticamente inconcepibile.

Inconcepibile per molti scienziati, ma non per noi, che pur non disdegnando la scienza, abbiamo un occhio di riguardo anche per la mitologia, quell’immenso bagaglio di racconti e conoscenze che i nostri antenati ci hanno lasciato in dono per non farci dimenticare le nostre origini. Ciò che la scienza non è ancora riuscita a capire, nella mitologia si trova scritto chiaro e tondo, con una semplicità disarmante. Vediamo qualche esempio.

Innanzitutto, diversi popoli hanno il ricordo, seppur vago, di un periodo antichissimo in cui la Luna che vediamo oggi non brillava ancora nel cielo: ciò significa che la Luna è arrivata in orbita solo in tempi relativamente recenti (comunque dell’ordine di centinaia di migliaia di anni: ricordiamoci che la razza umana è molto, molto antica), non certo miliardi di anni fa. I popoli pre-ellenici della Grecia erano chiamati “preseleniti” poiché affermavano di essere più antichi della Luna; anche i Muysca della Colombia affermano che un tempo la Luna non esisteva. Ma il racconto più ricco di dettagli è sicuramente quello degli Zulu, che riporto qui di seguito.

Secondo una leggenda riportata dallo sciamano Credo Mutwa, la Luna sarebbe stata portata qui centinaia di generazioni fa da due fratelli, Wowane e Mpanku (i corrispettivi africani degli Enki ed Enlil sumeri?). Essi rubarono un uovo del “Gran Drago di Fuoco”, lo svuotarono del tuorlo e lo fecero “rotolare” fino alla Terra. Prima che arrivasse la Luna, la Terra era avvolta in una cappa di vapore acqueo, le stagioni non esistevano e le donne non avevano le mestruazioni; il clima era mite e la vegetazione lussureggiante. L’arrivo della Luna in orbita pose fine a tutto ciò, causando la fine dell’Età dell’Oro e causando la condensazione della cappa di vapore, che precipitò sulla Terra dando luogo a un immane diluvio (forse l’unico veramente “universale” mai verificatosi).

Ecco quindi la risposta che cercavamo: fu proprio la Luna, evidentemente un astro artificiale, a causare quell’immane sconvolgimento passato alla storia (o meglio, alla mitologia!) come la separazione del Cielo dalla Terra, ovvero l’inclinazione dell’asse terrestre. A piegare l’asse potrebbe aver contribuito l’attrazione gravitazionale del satellite, oppure una forza differente, magari di natura elettromagnetica. Quel che è certo è che ciò provocò una delle più grandi catastrofi mai sperimentate dall’Umanità, i cui postumi (fra cui le stagioni, assenti nella Terra primitiva) si risentono ancora oggi.

A questo punto, potremmo azzardare l’ipotesi che il “grande terremoto, di cui non vi era mai stato l’uguale da quando gli uomini vivono sopra la terra” (Apocalisse, 16, 18), l’ultimo flagello che colpirà l’Umanità (forse tra non molto, dato che i primi sembrano essere già iniziati), sarà provocato proprio dal raddrizzamento dell’asse terrestre. La descrizione della Gerusalemme celeste fatta nei capitoli finali dell’Apocalisse fa pensare proprio ad una nuova Età dell’Oro: può darsi quindi che se la Luna, in seguito a qualche evento cosmico, si allontanerà dalla Terra (Mt 24, 29 si riferisce forse a questo?), la sua forza gravitazionale/elettromagnetica esercitata sul pianeta verrà meno, e la Terra tornerà com’era una volta, con l’asse perpendicolare all’eclittica e immersa in un’eterna primavera.

La Gerusalemme celeste raffigurata nell’Arazzo dell’Apocalisse (XIV secolo). Da qui.

Quello che ho appena descritto potrebbe sembrare uno scenario improbabile: eppure, i miti sono lì a testimoniare che Cielo e Terra, originariamente uniti, si separarono; nulla vieta quindi di credere alle profezie, secondo le quali, in un giorno non molto lontano, Cielo e Terra torneranno finalmente a riabbracciarsi.

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