Omero nel Baltico

Mappa della Scandinavia risalente al 1544. Da qui.

Qualche tempo fa mi sono reso conto che, pur avendo citato molto spesso il libro Omero nel Baltico di Felice Vinci (cui si è recentemente aggiunto un aggiornamento, I Segreti di Omero nel Baltico), non ho mai approfondito l’argomento nel dettaglio. Il presente articolo, necessariamente una sintesi della poderosa ricerca dell’autore, mira a colmare questa lacuna.

Il mondo omerico

Già nell’antichità, la geografia descritta nei poemi omerici suscitava alcune perplessità. Strabone, ad esempio, si chiedeva come mai Omero posizionasse l’isola di Faro ad una giornata di navigazione dall’Egitto, quand’essa distava in realtà un tiro di schioppo da Alessandria. Secondo Omero, l’arcipelago di Itaca comprendeva, fra le altre isole, anche Dulichio (in greco “Isola lunga”), mai identificata nel Mediterraneo. Inoltre Omero descrive il Peloponneso come pianeggiante, quando non lo è affatto; e potremmo andare avanti ancora. Insomma, le incongruenze con la geografia mediterranea non sono poche.

E se gli eventi cantati da Omero… non fossero ambientati nel Mediterraneo? Prima di Felice Vinci, altri autori avevano proposto una collocazione diversa (nello specifico, nordica) di alcune vicende. Cratete di Mallo, filosofo greco vissuto tra il III e il II secolo a.C., sosteneva che le peregrinazioni di Ulisse fossero ambientate nell’Atlantico settentrionale. Anche Robert Graves ne I miti greci afferma che i Lestrigoni citati nell’Odissea “erano probabilmente norvegesi”. Ma la felice intuizione del Vinci è stata quella di traslare tutto quanto il mondo omerico in Nord Europa, mostrando così la sua perfetta coerenza non solo con la geografia e il clima di quei luoghi, ma anche – per esempio – con usanze e miti delle popolazioni locali antiche e moderne.

Uno dei tratti che più allontana il mondo omerico da quello mediterraneo è il clima. La nebbia è onnipresente; neve e pioggia vengono menzionate spesso, mentre non si fa cenno al calore del sole. I guerrieri achei combattono indossando pesanti mantelli, ma nonostante ciò non sudano mai per il caldo: d’altronde, la città di Troia viene spesso definita “ventosa”. Il mare appare sistematicamente “grigio”, “livido”, “brumoso”, tutti aggettivi che non ricordano certo il blu e scintillante Egeo.

Anche certe descrizioni di animali sono coerenti con un’ambientazione nordica. Basti pensare al riferimento alle gru “che fuggono dall’inverno” (Iliade, III, 3-4): dal Nord Europa, in effetti, le gru migrano verso sud poco prima dell’inverno; alle nostre latitudini, invece, la migrazione si verifica in primavera. Per quanto riguarda le piante, è significativa l’assenza di frutti tipicamente mediterranei, come olive e fichi, sulle tavole degli eroi omerici. È vero che in alcune occasioni viene menzionato l’olivo (elaiē), ma è molto probabile che questo albero sia in realtà un abete (elatē). Ciò renderebbe molto più sensato, ad esempio, l’episodio dell’accecamento di Polifemo, per cui Ulisse usa un palo ricavato da un “olivo”: l’abete, col suo tronco dritto, si presta infatti molto meglio a un simile utilizzo.

Che dire poi del fatto che diversi personaggi omerici (Achille, Ulisse, Menelao…) sono biondi? Senza contare che nei Danai, uno dei nomi che Omero dà agli Achei, sembra riecheggiare quello dei Danesi. Sono molte anche le similarità tra Achei e Vichinghi: per esempio, entrambi avevano navi a doppia prua e dotate di albero smontabile; tenevano assemblee a cui presenziavano armati di lancia; permettevano agli schiavi di possedere proprietà; usavano i bovini come moneta di scambio; e potremmo andare ancora avanti.

Insomma, tutto lascia pensare che i poemi omerici furono composti proprio in Nord Europa. A portarli nel Mediterraneo furono probabilmente i “Micenei” (appellativo moderno: in realtà si trattava certamente di uno dei popoli achei citati da Omero), che si stabilirono in Grecia nel XVII secolo a.C. I poemi, dunque, risalirebbero all’inizio dell’età del bronzo nordica; la loro messa per iscritto, nell’VIII secolo a.C., avvenne dopo secoli di trasmissione orale.

Ma i Micenei non si limitarono a portare con sé il proprio bagaglio di miti e racconti: cercarono anche di ricostruire il loro mondo originario, assegnando a mari, fiumi, isole e città mediterranee i nomi dei loro corrispettivi nordici. Ciò ha generato un equivoco millenario che solo oggi, finalmente, siamo in grado di chiarire.

I viaggi di Ulisse

Felice Vinci ebbe la prima “illuminazione” leggendo un passo del De facie di Plutarco (941a), dove si afferma che l’isola di Ogigia si trovava cinque giorni di navigazione a ovest della Britannia. Ciò portò il Vinci ad identificarla con una delle isole Faroe, e precisamente con Nólsoy. Tale isola, infatti, ospita non solo le grotte e i grandi stormi di uccelli a cui Omero fa riferimento, ma anche un monte dal nome molto simile a quello di Ogigia, Høgoyggj.

Come racconta Omero, dopo sette anni sull’isola in compagnia di Calipso, Ulisse, per ordine degli dèi, si costruisce una zattera e salpa alla volta di Itaca. Dopo 17 giorni di navigazione verso est intravede la terra dei Feaci, la Scheria, che appare come “uno scudo nel mare nebbioso”. In effetti, partendo dalle Faroe e navigando verso oriente, si giunge alle coste norvegesi, notoriamente alte e a picco sul mare. Peraltro, il nome “Scheria” è riconducibile alle lingue germaniche: in norreno, ad esempio, sker (skerja al plurale) significa “scoglio”. Il nome dei Feaci (“navigatori famosi” secondo Omero, ma totalmente sconosciuti nel Mediterraneo) sembra risuonare nel fiume Figgjo, nella Norvegia meridionale. Qui Ulisse, con ciò che resta della sua zattera distrutta da una tempesta, approda e risale per un certo tratto la corrente, in ciò aiutato dall’inversione del corso del fiume, che è tipica del mondo nordico (per via della maggiore ampiezza delle maree) e rarissima nel Mediterraneo.

Ospitato alla corte di Alcinoo, re dei Feaci, Ulisse racconta le sue celeberrime peregrinazioni. Il suo percorso, se ricostruito nel contesto mediterraneo, è decisamente ingarbugliato; nell’Atlantico, al contrario, appare molto più coerente: le sue tappe, dalla Scozia (dove il Vinci colloca i Lotofagi) alla Norvegia settentrionale (dov’è localizzabile l’isola di Circe) giacciono infatti su una traiettoria pressoché rettilinea.

I viaggi di Ulisse, localizzabili nell’Oceano Atlantico.

L’episodio del ciclope Polifemo è forse il più famoso dell’Odissea. La sua ambientazione nordica è suggerita non solo da racconti sorprendentemente simili diffusi in Norvegia, ma anche dalla straordinaria mappa di Adamo di Brema, databile al 1080, che colloca i Ciclopi proprio lungo le coste norvegesi, a nord dei monti Rifei (ossia le Alpi scandinave). La mappa mostra anche, poco sopra, una piccola “isola dei Ciclopi”, identificabile forse con Vega. Ma non è tutto: sulle coste baltiche si trova infatti una “Terra Feminarum”, cioè la terra delle Amazzoni: secondo l’Iliade, in effetti, queste ultime avevano combattuto con i Troiani: ciò significa che anche la città di Troia, come vedremo più avanti, si trovava in queste regioni.

Una versione del 1911 della mappa di Adamo di Brema (XI secolo). I Ciclopi si trovano sulle coste norvegesi, a nord dei monti Rifei. Si noti anche la piccola “isola dei Ciclopi” poco sopra. Da qui.

La tappa successiva del viaggio è l’Eolia, dove Ulisse riceve il famoso “otre dei venti”. Lì Eolo, signore dell’isola, aveva racchiuso tutti i venti tranne quello di ponente, che avrebbe aiutato le navi a tornare in patria. Ma quando ormai la meta è vicina, i compagni di Ulisse aprono l’otre: si scatena così una tempesta che trascina nuovamente le navi in Eolia. Questo episodio è inquadrabile nella zona delle Shetland, dove spesso infuriano violente burrasche; inoltre il nome di una delle isole dell’arcipelago, Yell, ricorda quello dell’Eolia. Ma esiste un’altra straordinaria conferma di questa ricostruzione: infatti, come scrive il Frazer nel suo Ramo d’Oro, “i marinai delle isole Shetland comprano ancora oggi venti sotto forma di fazzoletti e spaghi, legati da vecchie donne che pretendono di controllare le tempeste. Si dice che a Lerwick vi siano vecchie megere che vivono vendendo i venti”.

Partita una seconda volta dall’Eolia, la flotta di Ulisse giunge nel paese dei giganteschi Lestrigoni, dove “i sentieri della notte e del giorno sono vicini”. Queste parole indicano che ci troviamo molto a nord, come riconosciuto appunto anche dal Graves. In effetti al largo della costa norvegese, appena al disopra del Circolo Polare Artico, troviamo l’isoletta di Lamøy, che ricorda Lamo, il re dei Lestrigoni. La vicina isola di Nesøya ospita una profonda insenatura, che potrebbe corrispondere al porto dall’“ingresso stretto” dove approdarono le navi di Ulisse. I Lestrigoni, rozzi e brutali, attaccano e distruggono la flotta lanciando enormi macigni, per poi cibarsi dell’equipaggio; solo la nave di Ulisse si salva.

Con l’unica nave scampata alla distruzione, Ulisse prosegue il viaggio verso nord, fino a raggiungere l’isola di Circe. Qui ormai ci troviamo oltre il Circolo Polare, come indica l’accenno alle “danze dell’aurora”: alle alte latitudini, infatti, al termine della notte polare il sole compie diverse rivoluzioni al disotto dell’orizzonte prima di sorgere; ciò dà appunto l’impressione che l’alba “giri in tondo”. Ma al nord fa pensare anche l’“enorme cervo” che Ulisse uccide sull’isola, in cui è ravvisabile l’alce, il più grosso cervide esistente. Secondo il Vinci, l’isola di Circe potrebbe corrispondere all’odierna Sørøya: da qui Ulisse si recherà nella “dimora di Ade” per compiere un sacrificio, per poi tornare da Circe, che lo istruirà sui pericoli del viaggio di ritorno.

Le peripezie del “ritorno” sono anch’esse collocabili lungo la costa norvegese. Dell’Ade, dove abitavano i Cimmeri, ci eravamo già occupati qui. Le “sirene” sono localizzabili al largo dell’isola di Langøya, dove si trovano fondali molto bassi, assai pericolosi per la navigazione. Il rumore delle onde sugli scogli che affiorano da queste acque (molto pericolosi, appunto) potrebbe aver ispirato la leggenda del “letale” canto delle sirene.

Che dire invece di Scilla e Cariddi? Lo “scoglio di Scilla”, descritto da Omero come molto elevato, corrisponde alla rupe di Helseggen, situata all’estremità meridionale dell’isola di Moskenesøya. Ed è proprio in questa zona che si trova il Maelstrom, identificabile con la Cariddi omerica. La conferma, oltre che dalla descrizione dell’Odissea (che si attaglia benissimo ad un gorgo), ci viene dalla “Carta Marina”, una mappa realizzata nel 1539 dal geografo svedese Olaus Magnus: qui, il Maelstrom viene chiamato proprio horrenda Caribdis!

Particolare della Carta Marina di Olaus Magnus (1539) che raffigura il Maelstrom con la didascalia “Hec est horrenda Caribdis” (“Questa è l’orrenda Cariddi”).

Infine, il Vinci identifica l’isola Trinachia (“con tre punte”) con Mosken, situata pochi chilometri a sud di Moskenesøya, la cui forma ricorda un cappello a tre punte. Secondo un’altra ipotesi, l’isola corrisponderebbe all’attuale Trenyken, su cui si ergono tre picchi che le conferiscono un profilo estremamente caratteristico. Qui Ulisse e i compagni, spinti dalla fame, uccidono le vacche sacre al Sole, attirando su di sé l’ira degli dèi. La nave di Ulisse, una volta lasciata l’isola, viene colta dall’ennesima tempesta e riportata verso Cariddi, che la distrugge definitivamente. Ulisse, l’unico superstite al naufragio, verrà trasportato, aggrappato al relitto, verso Ogigia. Il cerchio si chiude.

L’arcipelago di Itaca

Terminato il racconto delle sue avventure, Ulisse torna finalmente a Itaca, dove viene gentilmente riaccompagnato dai Feaci. Ma anche qui, siamo ben lontani dallo Ionio: l’isola descritta è fredda e piovosa, e quando arriva Ulisse il paesaggio è completamente avvolto nella nebbia. Ma quelle meteorologiche non sono le uniche “stranezze”: Itaca, stando a quanto afferma l’Odissea, era infatti l’isola più occidentale di un arcipelago che comprendeva anche Dulichio, Same e Zacinto. Ma l’Itaca greca non è affatto la più occidentale del suo arcipelago, dove peraltro non vi è traccia della “lunga” isola di Dulichio. Qual era allora la vera patria di Ulisse?

Ebbene, l’unico arcipelago al mondo che rispecchia le indicazioni omeriche è quello del Sud Fionia, in Danimarca. Tra le isole principali vi sono Lyø, identificabile con Itaca (la più occidentale, appunto), Aerø (Same), Tåsinge (Zacinto) e Langeland (“Terra lunga”, corrispondente a Dulichio). A supportare tale ricostruzione è anche la proporzione sorprendentemente simile tra il numero dei pretendenti di Penelope (20 da Zacinto, 24 da Same, 52 da Dulichio) e le superfici delle rispettive isole (70, 88 e 284 km2).

L’arcipelago del Sud Fionia, dove sono localizzabili l’Itaca omerica e le isole vicine.

L’Itaca omerica corrisponde dunque alla piccola Lyø, non solo come posizione all’interno del suo arcipelago, ma anche per una serie di altre ragioni. L’Itaca greca, infatti, è montuosa, mentre l’isola descritta da Omero è “bassa”, cioè pianeggiante, proprio come Lyø. L’isoletta baltica possiede un modesto rilievo, che potrebbe corrispondere al monte Nerito, ed un promontorio rivolto verso nord, da identificarsi con la “prima punta d’Itaca”. Ma Lyø ospita anche un dolmen, oggi chiamato Klokkensten (“Pietra della Campana”), che a questo punto potremmo associare alla “Pietra del Corvo” menzionata da Omero. In questo dolmen, infatti, la pietra superiore è leggermente inclinata verso il basso, e da una certa angolazione ricorda proprio il becco di un uccello.

Il dolmen di Lyø: è questa la Pietra del Corvo di cui parla Omero? Da qui.

La guerra di Troia

Veniamo ora alla guerra di Troia, uno degli eventi più celebri dell’antichità. È ormai opinione comune fra gli studiosi che il racconto omerico abbia un fondamento storico: sarebbe infatti ispirato a uno o più conflitti tra Micenei e Ittiti, volti ad accaparrarsi una “posizione strategica” sullo stretto dei Dardanelli. Ma se, come ipotizza Felice Vinci, anche la guerra di Troia si svolse in Nord Europa, tali ipotesi devono essere rimesse in discussione.

Innanzitutto, dove si trovava davvero la Troia omerica? Sappiamo che sorgeva nei pressi dell’Ellesponto, comunemente identificato con lo stretto dei Dardanelli. Tuttavia, Omero descrive l’Ellesponto come “largo” o addirittura “sconfinato”, aggettivi che si adattano molto meglio al Golfo di Finlandia che alla zona dei Dardanelli. L’esistenza di un “Ellesponto baltico” ci viene confermata dallo storico danese Saxo Grammaticus (1150-1220), che nelle Gesta Danorum accenna a scontri tra Danesi ed “Ellespontini”.

Ma qual era la posizione di Troia rispetto all’Ellesponto? Un passo dell’Iliade (XXI, 334-335) indica che si trovava a nord-ovest: infatti, a muovere il mare antistante la città sono i venti Zefiro (proveniente da ponente) e Noto (che spira da sud). Questa indicazione, del tutto incoerente con la geografia anatolica, ci indirizza verso il sud della Finlandia, dove troviamo un villaggio dal nome molto simile alla città omerica: Toija.

L’assonanza del nome, da sola, potrebbe benissimo essere casuale; tuttavia, la topografia del luogo rafforza questa identificazione. Sebbene attualmente il sito si trovi lontano dalla costa (a causa del sollevamento isostatico, molto marcato nella zona), ancor oggi sono rintracciabili i due fiumi presso cui sorgeva la città, lo Scamandro (identificabile con l’attuale Kurkelanjoki) e il Simoenta (l’odierno Mommolanjoki), nonché la collina Batiea, oggi un promontorio sul lago Kirkkojärvi. La collocazione nordica di Troia, inoltre, è in grado di spiegare come la battaglia più importante narrata nell’Iliade possa protrarsi per tutta la notte. A quella latitudine, infatti, intorno al solstizio estivo il sole scende di poco sotto l’orizzonte, dando luogo alle cosiddette “notti bianche”. Tale fenomeno, reso in greco col termine amphilyke nix, consentiva una visibilità sufficiente per combattere; da nessuna parte, nel Mediterraneo, avrebbe potuto verificarsi una cosa del genere.

Nei dintorni di Toija si trovano anche moltissimi toponimi che ricordano gli alleati dei Troiani: Karjaa (Cari); Kiikoinen (Ciconi); Lyökki (Lici); e così via. Dei Veneti, localizzabili nella zona di Helsinki, ci eravamo già occupati. Da segnalare anche la località Åsgård, circa 60 km a est di Toija: infatti, secondo lo storico islandese Snorri Sturluson (1179-1241), Asgard (cioè la sede degli dèi Asi) era identificabile proprio con Troia. La posizione dei toponimi è coerente col fatto che Omero descrive gli alleati come “vicini” dei Troiani; in Anatolia, invece, popolazioni come i Lici si sarebbero trovate lontanissime dal teatro della guerra.

La località di Toija/Troia ed altri toponimi che ricordano gli alleati dei Troiani.

Se dunque il motivo della guerra di Troia non era il controllo dei Dardanelli… cosa fece scoppiare il conflitto? Ebbene, la causa potrebbe essere stata proprio il rapimento di Elena! Menelao, infatti, era salito al trono attraverso il matrimonio con lei, figlia del re di Sparta Tindaro. Fuggendo con Paride, poi diventato di fatto il suo secondo marito, Elena aveva di fatto concesso a lui la dignità regale. Falliti i tentativi di risolvere la questione per via diplomatica, gli Achei mossero guerra ai Troiani per aiutare Menelao a riprendersi Elena e, quindi, il trono di Sparta.

Il Vinci fa altresì notare che i “dieci anni di guerra” sono probabilmente un’invenzione del poeta dell’Odissea, un “Omero” diverso da quello dell’Iliade. Quest’ultimo poema, infatti, contiene diversi elementi che fanno pensare ad una guerra iniziata da poco, non certo nove anni prima. Per esempio, dei quarantasei comandanti achei, all’inizio del poema risulta morto il solo Protesilao, ucciso al momento dello sbarco, mentre fra i capi dei Troiani e dei loro alleati non c’è neppure una vittima! Inoltre, in occasione del duello tra Menelao e Paride, il re Priamo, dall’alto delle mura di Troia, chiede a Elena di indicargli i principali comandanti achei e i loro nomi, come se non li avesse mai visti prima. E potremmo continuare a lungo… Gli unici due passaggi dell’Iliade che accennano a una guerra decennale (II, 84-359; XII, 15-23), del tutto incoerenti col resto del poema, sono dunque da considerare spuri.

E il cavallo di legno? Anch’esso fu probabilmente una trovata del poeta dell’Odissea. Egli, infatti, avendo ovviamente interesse ad esaltare il personaggio di Ulisse, pensò di attribuire a lui tutto il merito della presa di Troia. L’Iliade, infatti, non accenna mai al famoso stratagemma, nonostante offra spesso “anticipazioni” sugli eventi in procinto di accadere. Probabilmente, la versione originaria del poema raccontava un finale diverso e più “convenzionale” della guerra; la parte finale fu successivamente espunta per non contraddire l’Odissea.

Il mondo acheo nel Baltico

Il II libro dell’Iliade contiene 266 preziosissimi versi noti nel loro complesso come “Catalogo delle Navi”. Perché preziosissimi? Perché, elencando i vari contingenti achei che presero parte alla guerra di Troia, ci permettono di ricostruire tutto quanto il mondo omerico! La scansione infatti non segue un ordine “di importanza”, ma geografico, procedendo in senso antiorario lungo i territori affacciati sul Baltico.

Il Catalogo parte dalla Beozia, tra le cui località principali vi era l’Aulide, dove si riunì la coalizione achea prima di salpare per Troia. Questa regione corrisponde alla Svezia centrale: lì infatti, circa 60 km a nordest di Stoccolma, si trova la baia di Norrtälje, identificabile con l’Aulide omerica. Ciò per vari motivi: innanzitutto, con la sua lunghezza di quasi 20 km, era abbastanza spaziosa da ospitare le quasi 1200 navi della flotta achea. Inoltre, poiché orientata verso est, rappresentava un ottimo punto di partenza verso la Finlandia, anche perché separata da essa da un braccio di mare relativamente stretto: nel tragitto, c’era anche la possibilità di fare scalo a Lemland, un’isola dell’arcipelago delle Åland associabile, per nome e posizione, alla Lemno omerica. Peraltro il nome “Aulide”, riconducibile al greco aulos (“tubo, canna, flauto”), potrebbe essere stato ispirato proprio alla forma lunga e stretta della baia di Norrtälje.

La baia di Norrtälje vista da Google Earth (sopra) e da una foto “in prospettiva” (sotto). La foto è tratta da qui.

Dopo i Beoti il Catalogo menziona nell’ordine i Mini, i Focesi e i Locresi, tutti localizzabili lungo le coste svedesi. Le due città locresi di Calliaro e Augea, per esempio, sono identificabili con le odierne Hallarum e Augerum, nella Svezia meridionale. Ma ancora più significativa è la menzione di altre due città della Locride, “Tarfe e Tronio sulle rive del Boagrio”: esse infatti corrispondono a Torpa e Tranås, due località svedesi situate sulle rive del lago Sommen. Ma non è finita: secondo una leggenda locale, infatti, a scavare il bacino dove sarebbe sorto il lago fu una mucca selvaggia; ma il termine greco Boagrios significa proprio “mucca selvaggia”! Difficile ritenere tutto ciò il frutto di semplici coincidenze…

Il Catalogo prosegue con gli Abanti, cioè gli abitanti dell’Eubea. Essa è identificabile con l’isola svedese di Öland, che per forma e posizione rispetto alla terraferma rappresenta il perfetto corrispettivo dell’Eubea greca. Dopo gli Abanti seguono nell’ordine gli Ateniesi, gli abitanti di Salamina e gli Argivi, localizzabili nella parte più meridionale della Svezia. In particolare, l’Atene omerica corrisponderebbe all’attuale Karlskrona, il cui territorio comprende anche alcune isole: ciò spiegherebbe perché il nome greco di Atene fosse al plurale. Tirinto, una delle città degli Argivi, potrebbe invece corrispondere all’odierna Tyringe.

Successivamente il Catalogo passa ad elencare i contingenti achei del Peloponneso. Questo toponimo, com’è noto, significa “Isola di Pelope”; ma il Peloponneso greco è una penisola, non un’isola, e non è pianeggiante, come appare sia nell’Iliade che nell’Odissea. Il Peloponneso omerico è invece identificabile con l’isola danese di Sjaelland (o Zelanda), che è appunto pianeggiante. Lì ritroviamo i regni dei due Atridi, Agamennone (la Micene baltica corrispondeva probabilmente all’odierna Copenaghen) e Menelao (il nome di Sparta riecheggia nel toponimo Sparresholm, nel sudest dell’isola). In questa ricostruzione, inoltre, le regioni del Pilo e dell’Elide trovano la loro “giusta” collocazione: l’Elide nella parte meridionale di Sjaelland, il Pilo in quella occidentale, confinante – come attesta Omero – con l’Argolide di Agamennone, una continuità che invece in Grecia non esiste.

Le regioni del “Peloponneso baltico”.

L’elenco prosegue con le armate provenienti dall’arcipelago di Itaca, che abbiamo già visto corrispondere al Sud Fionia. La regione successiva, l’Etolia, è a questo punto identificabile con le prospicienti coste baltiche oggi facenti capo a Danimarca e Germania. Subito dopo il Catalogo menziona Creta, che Omero non definisce mai isola, ma sempre “vasta terra”, con “cento” (secondo l’Iliade) o “novanta città” (secondo l’Odissea). Essa corrispondeva con ogni probabilità alla Pomerania, una regione oggi suddivisa tra Germania e Polonia. Il fiume Giardano citato da Omero è identificabile con l’Oder, mentre la città di Gortina con l’attuale Göhren. Inoltre, le “cento città” cretesi ricordano i “cento villaggi” dei Semnoni, “i più antichi e nobili tra gli Svevi” (Tacito, Germania, 39), che nel I secolo d.C. vivevano a sud della Pomerania. Ma non è tutto: il nome locale della Pomerania, Pomorze, significa “vicino al mare”, l’esatta traduzione del termine perirrhytos, con cui Omero definisce Creta (e solo quella)!

Sebbene non figuri nel Catalogo, nei poemi omerici è menzionato anche l’Egitto. Inutile dire che non si tratta dell’Egitto dei faraoni: le indicazioni di Omero ci portano infatti a localizzarlo nei pressi della Creta baltica. Qui troviamo la Vistola, che come il Nilo scorre da sud verso nord ed è pertanto identificabile con il “fiume Egitto” menzionato nell’Odissea. Tale ricostruzione ci permette anche di risolvere l’enigma della distanza di Faro dall’Egitto, che secondo Omero era pari ad una giornata di navigazione: un’affermazione assurda se riferita al contesto mediterraneo. Se però identificassimo la Faro omerica con la svedese Fårö (una piccola isola a nordest di Gotland), ecco che tutto torna: Fårö dista infatti quasi 400 km dalla foce della Vistola.

Ma torniamo al Catalogo. Dopo Creta, la scansione prosegue con Rodi: questo territorio, anch’esso mai definito isola, potrebbe corrispondere alla regione di Kaliningrad, dove si trovava il toponimo Rudau (oggi Melnikowo). Le isole Calidne corrispondono probabilmente alle isole dell’arcipelago estone occidentale, e sempre in Estonia sono localizzabili l’Ellade e la Ftia, da dove proveniva Achille. Quest’ultima regione era situata probabilmente nell’entroterra estone, ad ovest del lago Peipus, e segnava pertanto il limite orientale del mondo acheo. La sua posizione periferica spiega perché i rifugiati che parteciparono alla guerra di Troia (tra cui Patroclo) provenivano da lì.

Gli ultimi sette contingenti del Catalogo sono localizzabili in Finlandia: tra le città menzionate vi sono Iolco (Jolkka, nell’Ostrobotnia) e Oloosso, forse l’odierna Oulu. Quest’ultima era una città dei Lapiti, il cui nome è associabile a quello dei Lapponi. L’ultimo popolo citato, quello dei Magneti, richiama alla mente la magnetite, il minerale ferroso che avrebbe tratto il nome proprio dalla regione greca della Magnesia. Tuttavia, la Magnesia “originale” potrebbe essere stata la regione situata all’estremità del Golfo di Botnia, al confine tra Svezia e Finlandia. Ancora oggi, d’altronde, la Svezia settentrionale è nota per ospitare diverse miniere di ferro.

Siamo pronti, a questo punto, per ammirare la nostra “cartolina” del mondo acheo originario.

Il mondo omerico.

Nuovi orizzonti di ricerca

La ricerca di Felice Vinci, per quanto imponente, è tutt’altro che conclusa. Al contrario, essa ha suscitato molte nuove domande e aperto (anzi, spalancato) nuovi filoni di ricerca. Ecco alcuni dei quesiti su cui i prosecutori del suo lavoro potrebbero indagare:

  • Qual è il rapporto tra i biondi Achei omerici e gli attuali abitanti del Nord Europa? Questi ultimi sono davvero i loro diretti discendenti? Che relazione c’è, invece, con i moderni Greci? Sono rintracciabili influssi nordici nel loro genoma?
  • Se anche la lingua greca giunse nel Mediterraneo con le migrazioni achee, come mai in seguito scomparve nella sua zona d’origine? Esistono tracce di questa lingua greca arcaica nella toponomastica e nelle lingue attualmente parlate in quelle regioni?
  • Dato che alcune vicende bibliche sembrerebbero anch’esse ambientate nel Baltico, com’è possibile (se è possibile) conciliare fra loro i due scenari? Davvero Achei ed Israeliti abitavano entrambi nelle stesse fredde lande nordiche?
  • Alla luce di questa ricerca, si possono ritenere ancora valide le attuali teorie sull’ubicazione dell’Urheimat indoeuropea? Oppure possiamo ufficialmente “rispolverare” anche le vecchie (ma non per questo improbabili) tesi sull’origine iperborea degli Indoeuropei?
  • È possibile rintracciare, tramite scavi archeologici mirati, i resti delle città omeriche? Dato che la posizione di alcune sembrerebbe abbastanza sicura, eventuali ricerche in loco dovrebbero rivelarsi tutt’altro che infruttuose. Insomma, per citare le parole con cui il Vinci termina il suo lavoro, “ora è il momento di dare la parola alla vanga”.

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