Popoli Misteriosi: gli Sciti

Pettine scita in oro, raffigurante una scena di una battaglia (V-IV secolo a.C.).

So già che ad alcuni lettori potrà apparire strano definire gli Sciti un “popolo misterioso”: dopotutto, al contrario dei semi-leggendari Iperborei, su di loro abbiamo numerose informazioni, ricavate da fonti sia storiche che archeologiche. Sappiamo, per esempio, che abitavano a settentrione del Mar Nero; conosciamo i nomi di alcuni dei loro re; abbiamo resoconti delle loro imprese di guerra; e sono giunti fino a noi anche diversi oggetti da loro fabbricati. Si tratta dunque di un popolo non leggendario ma reale, che ha lasciato tracce concrete. Eppure, su di esso esistono ancora molte ombre, abbastanza per lasciarlo avvolto in un alone di mistero. Tuttavia, come vedremo, mettendo insieme i dati storici, linguistici e mitologici, è possibile far luce anche su questi punti oscuri…

Le origini

Gli Sciti erano un popolo nomade indoeuropeo che nell’antichità e fino ai primi secoli della nostra era abitava nelle steppe ponto-caspiche. Come accennavamo, su di loro abbiamo numerose testimonianze storiche: la fonte principale sono le Storie di Erodoto (V secolo a.C.), dove sono riportate anche diverse versioni sulla loro origine.

Esaminiamo dunque la prima versione, quella che raccontavano gli stessi Sciti (Storie, IV, 5-7). Secondo loro, il primo uomo ad abitare nel loro paese fu Targitao, figlio di Zeus e di una ninfa del fiume Boristene (l’odierno Dnepr). Egli generò tre figli: Lipoxai, Arpoxai e Colaxai. Dal primo ebbe origine la stirpe degli Aucati; dal secondo quelle dei Catiari e dei Traspi; dal terzo, quella dei Paralati. Gli Sciti affermavano che dall’epoca di Targitao fino al passaggio del re di Persia Dario nella loro terra (514 a.C.) erano trascorsi non più di mille anni: ciò farebbe risalire la loro etnogenesi al 1500 a.C. circa.

Secondo la versione greca, gli Sciti nacquero dall’unione di Eracle, di ritorno da una delle sue fatiche, con una “donna-serpente”. La donna concepì tre figli, chiamati Agatirso, Gelono e Scita. Prima di congedarsi da lei, Eracle le consegnò un arco e una cintura: chi dei tre figli avrebbe teso l’arco e indossato la cintura come faceva lui, avrebbe potuto rimanere nel paese. In seguito, divenuto adulto, solo Scita superò la prova, rimanendo così in Scizia con i suoi discendenti; gli altri due fratelli invece emigrarono, dando origine alle omonime tribù.

Gli studiosi moderni ritengono gli Sciti, come altre popolazioni iraniche, i diretti discendenti degli Indoeuropei rimasti nella loro Urheimat, che essi collocano appunto nelle steppe ponto-caspiche. Tuttavia, in questo blog abbiamo accennato più volte alla teoria di un’Urheimat più settentrionale (se non addirittura artica) degli Indoeuropei e in special modo delle popolazioni di stirpe iranica. Poiché anche gli Sciti erano ascrivibili a questo ceppo, la questione merita di essere esaminata più da vicino.

Partiamo da un’altra informazione riportata da Erodoto: “A settentrione degli estremi abitanti del paese, [gli Sciti] dicono che il cadere delle piume impedisca di vedere e di passare, perché la terra e l’aria ne son piene; e da ciò appunto sarebbe impedita la vista” (Storie, IV, 7). Queste “piume” non sono altro che i fiocchi di neve: ma ciò ci riporta alla mente lo Pteroforo, la regione contraddistinta da frequenti nevicate che Plinio poneva a sud dei monti Rifei. E poiché i monti Rifei sono identificabili con le Alpi scandinave, lo Pteroforo non può che essere la Svezia.

Dunque gli Sciti conoscevano, o addirittura provenivano, dalla Svezia? Non è detto: la neve non manca neppure in Siberia, per esempio. Ma esistono altri indizi che puntano proprio alla Svezia: uno di questi è l’Iliade di Omero, che come fatto notare a suo tempo dall’arguto Felice Vinci, è ambientata nel Baltico. In particolare, un passo del poema (XIII, 4-5) cita gli Sciti assieme ai Traci, che a loro volta, in base a diversi indizi, sono collocabili nella Svezia settentrionale (proprio a sud dei “monti Rifei”). Omero (come più tardi anche Esiodo) chiama gli Sciti “Ippomolgi”, cioè “mungitori di cavalle”: la mungitura delle cavalle, come documentato da Erodoto (Storie, IV, 2), era appunto un’usanza scitica.

A questo punto possiamo citare anche la Bibbia (Gen 10, 3), che menziona il capostipite degli Sciti (Askenaz) tra i figli di Gomer: quest’ultimo rappresenta i Cimmeri, anch’essi un popolo nordico. D’altronde, come ci testimonia ancora Erodoto, i contatti tra gli Iperborei e i Greci avvenivano con l’intermediazione di vari popoli, in primis gli Sciti (Storie, IV, 33): che tali contatti risalissero ad un’epoca in cui queste genti occupavano sedi fra loro molto più vicine?

Infine, una curiosa coincidenza: l’etnonimo degli Sciti (Skythai in greco) viene ricondotto alla radice indoeuropea *skewd, cioè “lanciare, spingere”. Il significato del loro nome sarebbe quindi quello di “tiratori, arcieri”. Ebbene, in svedese skytt significa proprio “tiratore” (ed indica inoltre il segno del Sagittario, che rappresenta un arciere).

Arciere scita raffigurato su un piatto greco in ceramica (circa 530-520 a.C.). Da qui.

La storia

Alla luce di quanto sopra esposto, possiamo ipotizzare che i biondi Sciti, proprio come i Cimmeri e i popoli iranici in genere, fossero di origine scandinava. Ciò è coerente con le precedenti ricerche pubblicate in questo blog, che mostrano il ruolo del Nord Europa come “culla di popoli”.

Ad un certo punto, le popolazioni iraniche migrarono verso sud, probabilmente a causa del progressivo irrigidimento del clima. L’inizio di questa migrazione (in realtà una serie di migrazioni) si può collocare attorno alla metà del II millennio a.C. Col passare dei secoli, probabilmente, il flusso migratorio spopolò la parte più settentrionale della penisola scandinava, che fu ripopolata solo in seguito da popoli germanici e ugro-finnici.

Nel frattempo, le genti scese nelle steppe ponto-caspiche si scontrarono fra loro per il predominio di quelle zone: secondo Erodoto, “gli Issedoni sarebbero stati cacciati dal loro paese dagli Arimaspi, gli Sciti dagli Issedoni, e i Cimmeri, abitanti le rive del mare meridionale [il Mar Nero], avrebbero abbandonato le loro terre, perché vessati dagli Sciti” (Storie, IV, 13). È qui, intorno al VII secolo a.C., che comincia la storia “ufficiale” degli Sciti.

Ma che fine hanno fatto gli Sciti? Nel corso del tempo si mescolarono con altri popoli, in particolare coi Sarmati. Da questo gruppo si distaccò, intorno al I secolo a.C., la tribù degli Alani, che in seguito dette origine agli Osseti. Questi ultimi hanno mantenuto la loro lingua, anch’essa appartenente al ramo iranico. In un certo senso quindi potremmo considerarli gli ultimi discendenti degli antichi dominatori delle steppe.

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