Breve Storia delle Costellazioni

La ruota dello zodiaco (sinagoga Beth Alpha, Israele), un mosaico raffigurante i dodici segni zodiacali (VI secolo).

Per noi uomini del terzo millennio, assistere allo spettacolo della volta celeste tempestata di stelle è sempre più raro, vuoi per il disinteresse, vuoi per il sempre maggiore inquinamento luminoso. Per gli antichi, al contrario, il cielo occupava un ruolo di primo piano: dove noi oggi vediamo dei semplici puntini luminosi, loro vedevano dèi, eroi, creature leggendarie. La loro attenzione per le stelle traspare ancora oggi dalla disposizione di certi edifici: un esempio su tutti, le piramidi di Giza, secondo alcuni studiosi la rappresentazione terrestre della cintura di Orione.

In passato l’astronomia era molto importante anche per via delle sue applicazioni pratiche: basti pensare al fatto che per secoli l’osservazione delle stelle è stata indispensabile per orientarsi durante la navigazione. Va da sé che ad un certo punto gli antichi sentirono la necessità di mettere ordine in ciò che essi vedevano in cielo: nacquero così le costellazioni. Sebbene la gran parte di noi ne conosca almeno qualcuna, pochi conoscono la loro storia; anche se, a dir la verità, l’origine di quelle più antiche è avvolta nel mistero, seminascosta dalle nebbie del tempo. Sarà compito nostro provare a ricostruirla “unendo i puntini” (o meglio, le stelle!).

L’origine delle costellazioni

Come abbiamo detto, l’origine di alcune costellazioni si perde nella notte dei tempi. Pertanto il modo migliore che abbiamo per ricostruire la loro storia è quello di percorrerla a ritroso.

Le costellazioni oggi in uso sono 88: di queste, 48 erano già state catalogate dal geografo e astronomo ellenistico Tolomeo nel suo Almagesto (150 d.C.). Tolomeo raccolse nella sua opera le costellazioni conosciute dagli antichi Greci: alcune di esse erano state introdotte in epoca classica, mentre altre erano note fin dai tempi di Omero, il quale menziona l’Orsa Maggiore, Orione e Boötes, nonché le Iadi e le Pleiadi. Se teniamo presente l’origine nordica dei poemi omerici, è logico supporre che alcune delle costellazioni note ai Greci risalissero ad un’epoca anteriore alla diaspora indoeuropea, avvenuta intorno alla metà del II millennio a.C. D’altronde il poeta greco Arato (circa 315-240 a.C.), nel suo poema astronomico Fenomeni, afferma che a concepire le costellazioni sarebbe stato “un uomo di una generazione scomparsa”, il che dà l’idea non soltanto di un’epoca lontana, ma anche di un popolo differente.

Oltre al comune bagaglio indoeuropeo, gli astronomi dell’antica Grecia attinsero anche ad un’altra fonte: le osservazioni dei Babilonesi, confluite intorno al 1000 a.C. nel trattato MUL.APIN (“Aratro”, nome di una costellazione comprendente stelle del Triangolo e di Andromeda). In particolare, i Greci ereditarono dai Babilonesi le costellazioni zodiacali e alcune costellazioni “para-zodiacali” come l’Idra, l’Aquila, il Corvo e il Pesce Australe. L’origine delle costellazioni mesopotamiche viene collocata intorno al 3200 a.C.

Ma sembra alcune costellazioni fossero note già da molto tempo prima dell’epoca babilonese. A quattromila chilometri dalla Mezzaluna fertile, in Francia, si trovano le Grotte di Lascaux, che ospitano delle pitture rupestri davvero interessanti, datate a circa 17.500 anni fa (prendiamo per buona questa datazione anche se, lo ricordiamo, molte di queste datazioni sono basate su criteri arbitrari). Tra le numerose rappresentazioni di animali, ce n’è una che raffigura un toro: non sembra però un toro qualsiasi, bensì il Toro zodiacale, accanto al quale si notano le Pleiadi e la cintura di Orione. Ciò consentirebbe di retrodatare notevolmente l’invenzione delle costellazioni.

Il toro raffigurato a Lascaux, secondo alcuni una rappresentazione della costellazione del Toro. Nelle vicinanze sembrano rappresentate anche la cintura di Orione e l’ammasso delle Pleiadi.

Ma è possibile risalire ancora più indietro nel tempo? Forse sì: se dalla Francia ci spostiamo in Turchia, incontriamo il sito archeologico di Göbekli Tepe, che appare essere un antichissimo osservatorio astronomico. Le datazioni ufficiali assegnano al sito quasi 12.000 anni di età, il che lo collocherebbe in un’epoca posteriore rispetto alle pitture rupestri di Lascaux. Ma è davvero così? Secondo le ricerche di Mario Buildreps (di cui ci siamo già occupati altre volte), Göbekli Tepe sarebbe in realtà enormemente più antico: l’inizio della sua costruzione risalirebbe infatti a quasi 350.000 anni fa!

Ma perché Göbekli Tepe è importante per la nostra ricerca? La risposta si trova nel Pilastro 43, uno dei pilastri a T che formano il Recinto D del sito. Il pilastro è decorato con figure di animali, nei quali alcuni studiosi hanno riconosciuto delle primitive rappresentazioni di costellazioni. Vi sono diverse interpretazioni in merito alle costellazioni rappresentate: a mio avviso, la più convincente è quella proposta da Paul Burley (ripresa da Graham Hancock nel suo libro Il Ritorno degli Dèi), che esamineremo brevemente.

Il Pilastro 43 di Göbekli Tepe. Da qui.

Secondo questa ipotesi, i bassorilievi del Pilastro 43 mostrano la zona di cielo compresa il Sagittario e l’Ofiuco. Il Sagittario (più precisamente l’asterismo della Teiera) è rappresentato dall’avvoltoio con le ali aperte, mentre l’Ofiuco dall’uccello sulla destra, vicino al quale c’è un piccolo serpente che rappresenta l’omonima costellazione. “Ofiuco” significa appunto “portatore di serpenti”: nella costellazione attuale (già nota a Tolomeo) è un uomo che porta il serpente, ma è possibile che ad aver ispirato la figura sul Pilastro 43 sia stato il serpentario, un uccello noto per cacciare i serpenti che oggi vive in Africa ma del quale sono stati rinvenuti resti fossili anche in Europa e Medio Oriente.

Sul pilastro sono rappresentate anche altre costellazioni, le quali però coincidono solo in parte con quelle attuali: per esempio, lo scorpione raffigurato sotto all’avvoltoio è formato dalle stelle della Corona Australe, dell’Altare e della coda del nostro Scorpione; la testa dello Scorpione sembra invece rappresentata dal “pulcino” a destra. La sfera retta dall’ala dell’avvoltoio, in base a questa interpretazione, sarebbe il Sole, che si troverebbe in corrispondenza del centro galattico in occasione del solstizio d’inverno.

Trasposizione in cielo delle figure scolpite sul Pilastro 43. Da qui.

E qui arriva la parte interessante: infatti, è oggi che il Sole si trova in quella posizione durante il solstizio invernale, non 12.000 anni fa! Graham Hancock interpreta tutto ciò come un messaggio che i costruttori di Göbekli Tepe volevano indirizzare a noi uomini del terzo millennio, ma alla luce delle scoperte di Mario Buildreps la spiegazione potrebbe essere un’altra. Secondo le sue datazioni, infatti, il Recinto D (dove si trova il Pilastro 43) risalirebbe a un periodo compreso tra 70.000 e 80.000 anni fa: se dall’epoca attuale spostiamo l’“orologio precessionale” indietro di tre cicli (circa 75.000 anni) arriviamo proprio a quel periodo, in cui la configurazione celeste durante il solstizio invernale era la stessa di oggi. Dunque il cielo rappresentato sul Pilastro 43 era quello di 75.000 anni fa, non quello attuale!

Ciò apre a prospettive finora inimmaginabili: il Pilastro 43 si rivela infatti come una preziosissima testimonianza storica sull’origine delle costellazioni e sulla loro evoluzione. Può sembrare incredibile che civiltà fra loro lontanissime nel tempo abbiano visto in cielo figure simili (pensiamo ad esempio allo Scorpione). Eppure, alcune civiltà antiche serbavano il ricordo di osservazioni celesti protrattesi per millenni fin da tempi remotissimi: Diodoro Siculo, ad esempio, riporta le affermazioni dei Caldei secondo cui i loro astronomi avevano tenuto traccia dei movimenti celesti per ben 473.000 anni (Biblioteca Storica, II, 31)! In questo video avevamo riportato altre affermazioni del genere, che le datazioni proposte da Mario Buildreps sembrano rendere sempre meno distanti dal vero.

La nascita dello zodiaco

Anche se pochi sono in grado di individuarle in cielo, pressoché tutti noi conosciamo le dodici costellazioni zodiacali, quelle attraversate dal Sole durante l’anno, le stesse che danno il nome ai “segni” su cui si basa l’oroscopo. Ma forse non tutti sanno che, a causa della precessione degli equinozi, da molto tempo i segni non coincidono più con le costellazioni in cui il Sole transita: per esempio, il segno dell’Ariete va dal 21 marzo al 20 aprile, anche se il Sole transita nell’Ariete dal 18 aprile al 14 maggio. Inoltre, i segni dividono lo zodiaco in 12 “fette” pressoché identiche, anche se il Sole spende solo 6 giorni nello Scorpione e un mese e mezzo nella Vergine.

L’invenzione dello zodiaco è attribuita ai Babilonesi, che come abbiamo già visto furono i primi a catalogare le costellazioni zodiacali. Si ritiene che la suddivisione dell’eclittica in 12 segni, ciascuno di 30° di longitudine, avvenne intorno al 400 a.C., quando durante l’equinozio di primavera il Sole era ancora nell’Ariete. Questa permanenza sarebbe durata ancora pochi secoli, poiché verso l’anno 0 il punto vernale si spostò nei Pesci, inaugurando così l’Era dei Pesci, tuttora in corso.

Chiaramente, lo zodiaco babilonese non era identico al nostro, e subì delle modifiche nel corso dei secoli da parte delle popolazioni che lo adottarono. Per esempio, in origine la costellazione della Bilancia faceva parte dello Scorpione; furono i Romani a introdurla come costellazione a se stante. La sua origine è però testimoniata ancor oggi dai nomi arabi delle sue due stelle più luminose, Zuben el Schamali (“Chela Settentrionale”) e Zuben el Genubi (“Chela Meridionale”).

Ricostruzione di una mappa celeste babilonese. Da qui.

Ma se lo zodiaco come lo concepiamo noi oggi nacque in Mesopotamia 24 secoli fa, l’invenzione delle costellazioni zodiacali è assai più antica, forse addirittura “antidiluviana”. Abbiamo già parlato del toro raffigurato a Lascaux, straordinariamente simile alle rappresentazioni, molto posteriori, della costellazione del Toro. Può darsi quindi che anche gli astronomi mesopotamici avessero attinto a tradizioni più antiche, forse appartenute ai costruttori di Göbekli Tepe o ad una civiltà finora sconosciuta.

Le costellazioni dell’emisfero australe

Quando iniziarono i grandi viaggi di esplorazione, i navigatori europei si ritrovarono sotto un cielo in gran parte sconosciuto. Sorse quindi la necessità di inventare nuove costellazioni: delle 48 già catalogate da Tolomeo, solo 15 si trovavano a sud della fascia zodiacale.

L’emisfero celeste meridionale con le costellazioni note a Tolomeo, in un’illustrazione di Albrecht Durer del 1515. Da qui.

Nel corso dei secoli XVI-XVIII vennero quindi introdotte altre costellazioni, ispirate perlopiù agli strumenti per la navigazione e alle invenzioni di quel periodo (Il Microscopio, l’Ottante, il Telescopio) e agli animali esotici scoperti dagli esploratori (l’Uccello del Paradiso, il Tucano, il Pesce Volante). Il più prolifico inventore di costellazioni fu l’abate e astronomo francese Nicolas-Louis de Lacaille, che a seguito delle sue osservazioni, compiute tra il 1750 e il 1754, ne introdusse ben 14. Altri due creatori fecondi furono i navigatori olandesi Pieter Dirkson Keyser e Frederik de Houtman, che tra il 1596 e il 1603 introdussero 12 nuove costellazioni.

Alcune costellazioni del cielo australe, in un’illustrazione tratta dall’Uranometria di Johann Bayer (1603).

Pian piano, anche il cielo australe fu esplorato e mappato; nel frattempo, vennero riempiti anche i “buchi” del cielo settentrionale, con le sette costellazioni create dall’astronomo polacco Johannes Hevelius (tra queste i Cani da Caccia, il Leone Minore, la Lucertola). All’inizio dell’Ottocento il numero delle costellazioni aveva raggiunto il centinaio; in seguito, tuttavia, questo numero venne “limato” fino a giungere alle 88 costellazioni attuali, i cui confini furono stabiliti nel 1930 dall’Unione Astronomica Internazionale.

Alcune curiosità

Terminiamo questo nostro articolo con una piccola carrellata di fatti curiosi e poco noti sulle costellazioni.

  • Nel 1627, il gesuita e astronomo Julius Schiller pubblicò il Cielo Stellato Cristiano, in cui proponeva di sostituire le costellazioni tradizionali “pagane” con figure ispirate all’Antico e al Nuovo Testamento. Per esempio, le dodici costellazioni zodiacali erano rimpiazzate dai dodici apostoli: l’Ariete da Pietro, il Leone da Tommaso, l’Acquario da Giuda Taddeo, eccetera; mancava solo Giuda Iscariota, sostituito da Matteo, che infatti figurava sia come apostolo (Pesci) che come evangelista (Sagittario). Al posto delle costellazioni boreali c’erano oggetti e personaggi del vangelo e dell’era cristiana (il Cigno diventava la Santa Croce, la Corona Boreale la Corona di Spine, Pegaso l’Arcangelo Gabriele e così via), mentre quelle australi erano sostituite da figure veterotestamentarie (la nave Argo diventava l’Arca di Noè, l’Idra il Fiume Giordano, il Centauro Abramo e Isacco, eccetera). La proposta di Schiller ebbe tuttavia scarso successo.
Tavola celeste con le costellazioni proposte da Julius Schiller e illustrate da Andreas Cellarius. Da qui.
  • Il percorso che ha portato gli astronomi ad adottare le 88 costellazioni attuali non è stato caratterizzato solo da aggiunte, ma anche da eliminazioni e sostituzioni. Tra le costellazioni “estinte” figurano per esempio la Nave Argo, una delle 48 costellazioni tolemaiche in seguito “smembrata” per formare la Carena, la Poppa e la Vela; il Gallo, proposto nel 1612 dall’astronomo e teologo olandese Petrus Plancius; la Mongolfiera, inventata nel 1798 dall’astronomo francese Joseph Jérôme de Lalande; il Gatto, anch’esso inventato da Lalande nel 1799; l’Officina Tipografica, introdotta nel 1801 dall’astronomo tedesco Johann Bode nella sua Uranographia per commemorare i 350 anni dall’invenzione della stampa; ed altre ancora.
Tre costellazioni ormai obsolete: la Mongolfiera (dall’Uranographia di Johann Bode, 1801), il Gatto (dall’Atlante Celeste di Alexander Jamieson, 1822) e il Gallo (dall’Usus astronomicus planisphaerii stellati di Jakob Bartsch, 1624).
  • Le costellazioni dell’Orsa Maggiore e Minore sono protagoniste di un enigma finora insoluto: perché sono raffigurate entrambe con la coda, notoriamente assente in questi animali? Una possibile risposta, suggerita in questo articolo, viene dall’origine nordica delle due costellazioni (la prima delle quali, ricordiamolo, già menzionata da Omero): in entrambi i casi, la figura delineata dalle stelle non sarebbe una femmina di orso, bensì un ghiottone! Si tratta di un mustelide simile all’orso, ma provvisto di coda e caratterizzato da un dimorfismo sessuale molto spiccato, la lunghezza della femmina essendo circa la metà di quella del maschio (le due Orse potrebbero quindi rappresentare i due sessi). Il ghiottone è diffuso in tutto l’Artico, la patria originaria degli Indoeuropei, ma è assente nelle zone temperate del globo, il che spiega come mai la memoria di questo animale si perse in seguito alla diaspora indoeuropea.
A sinistra, un ghiottone; a destra, l’Orsa Maggiore in un’illustrazione tratta dall’Urania’s Mirror (1824).
  • Diverse bandiere del mondo raffigurano stelle e costellazioni: tra quelle nazionali abbiamo ad esempio la bandiera dell’Alaska, su cui spiccano il Gran Carro e la stella polare; diverse nazioni dell’emisfero australe (Australia, Nuova Zelanda, Samoa, Papua Nuova Guinea) hanno invece come costellazione di riferimento la Croce del Sud. Ma la bandiera astronomicamente più ricca è quella del Brasile, su cui campeggiano ben 27 stelle, appartenenti a nove costellazioni diverse (Cane Minore e Maggiore, Carena, Vergine, Idra, Croce del Sud, Ottante, Triangolo Australe e Scorpione)!
Particolare della bandiera brasiliana, che raffigura le stelle visibili da Rio de Janeiro il 15 novembre 1889. 1) Procione (Cane Minore); 2) Cane Maggiore; 3) Canopo (Carena); 4) Spica (Vergine); 5) Idra; 6) Croce del Sud; 7) Polaris Australis (Ottante); 8) Triangolo Australe; 9) Scorpione.
  • Nel 2017 gli astronomi dell’Università di Birmingham, in collaborazione con la Fiera del Big Bang, hanno creato delle nuove costellazioni con l’obiettivo di avvicinare i più giovani all’astronomia. Le nuove costellazioni, create ovviamente unendo stelle appartenenti a quelle tradizionali, rappresentano personaggi dei cartoni animati, dello sport e della letteratura. Per esempio, le stelle del Toro e di Orione concorrono a delineare la figura del campione di atletica Usain Bolt, mentre le stelle dell’Orsa Minore e del Dragone formano la racchetta della tennista Serena Williams.
La costellazione di Usain Bolt. Da qui.

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