Quella Egizia fu una Civiltà Globale?

Immagine tratta dalla Tomba di Nebamon (XIV secolo a.C.): il defunto è raffigurato mentre caccia nell’aldilà armato di boomerang, l’arma per eccellenza degli aborigeni australiani.

Il lettore avrà già intuito qual è l’ipotesi che intendiamo presentare qui, e cioè che la civiltà egizia fosse un tempo diffusa su scala globale. Le tracce di questa civiltà, infatti, non si ritrovano solo in Egitto, ma anche in molte altre parti del mondo. In questo articolo faremo una breve rassegna di queste tracce, che comprendono non solo reperti archeologici, ma anche parallelismi con le usanze e la mitologia dell’antico Egitto, difficilmente riconducibili a semplici coincidenze. Cercheremo inoltre di capire quando potrebbero essersi verificati, nella lunga storia della civiltà egizia, i contatti con le altre culture.

Egizi in Nord America

Il primo posto dove andremo in cerca degli Egizi è l’America del Nord. Esatto, proprio l’America, il “Nuovo Mondo” nel quale gli europei sarebbero approdati per la prima volta soltanto nel 1492… Ma in realtà già noto a Platone, che nel suo celebre racconto su Atlantide parlò chiaramente di un “continente” situato sulla sponda opposta dell’Atlantico (Timeo, 24e-25a). Ricordiamo che Platone ricevette queste informazioni da Solone, il quale le aveva apprese dai sacerdoti egiziani: l’accenno al continente al di là dell’oceano, dunque, è un primo indizio del fatto che gli Egizi conoscessero l’America.

E infatti in America, e più precisamente sulle coste orientali del Canada, troviamo una popolazione che sembra aver avuto, in passato, dei contatti con gli antichi Egizi: i Mi’kmaq. Questa tribù – cosa inusuale tra i nativi americani – aveva una propria forma di scrittura, che curiosamente consisteva in… geroglifici!

Chiaramente, il mondo accademico nega che questo tipo di scrittura sia stato appreso dagli Egizi: la sua introduzione sarebbe avvenuta in realtà nel XVIII secolo, ad opera di un missionario cattolico. Eppure, sebbene la lingua mi’kmaq sia molto diversa da quella egiziana, i geroglifici che esprimono le stesse parole sono straordinariamente simili: ciò rende improbabile che a inventarli sia stato un missionario (peraltro in un’epoca in cui i geroglifici egizi non erano stati ancora decodificati!) e supporta l’ipotesi di una loro origine egiziana.

Un “mini-dizionario” mi’kmaq-egizio: si noti la somiglianza dei geroglifici. Da qui.

Ma i geroglifici dei Mi’kmaq non sono l’unica cosa che legherebbe il Nord America all’antico Egitto. Esistono, infatti, dei ritrovamenti ancora più controversi, che porterebbero a riscrivere totalmente la storia del continente americano. È bene chiarire che l’autenticità di tali ritrovamenti è dubbia; a mio avviso, però, vale la pena farvi un accenno.

il 5 aprile 1909 la rivista Phoenix Gazette riportò in prima pagina una notizia sensazionale: un ricercatore dello Smithsonian Institute aveva scoperto nel Grand Canyon un’immensa grotta contenente reperti di ogni tipo, tra cui statue, oggetti d’oro e perfino corpi mummificati. Tuttavia, incredibilmente, questa scoperta finì di lì a poco nel dimenticatoio. Lo Smithsonian Institute cercò forse di insabbiare una scoperta troppo scomoda? Oppure tutta quanta la notizia del ritrovamento fu inventata di sana pianta? Anche se la prima ipotesi non è improbabile, è difficile escludere la seconda, dato che il racconto non è supportato da alcuna prova materiale o fotografica.

L’articolo pubblicato sulla Phoenix Gazette il 5 aprile del 1909. Da qui.

Un altro caso, stavolta documentato da numerose fotografie e reperti, è quello delle cosiddette “Grotte di Burrows”, così chiamate dal nome del loro scopritore, Russell Burrows. Nel 1982, in Illinois, Burrows avrebbe scoperto un sistema di cunicoli sotterranei contenenti un’ingente quantità di reperti. Egli non volle rivelare l’ubicazione delle grotte, ma per provare la veridicità del suo racconto portò alla luce un gran numero di oggetti: monete, statuette, tavole in pietra e metallo, alcune delle quali recavano iscrizioni in caratteri sconosciuti.

Purtroppo, dei circa 2000 oggetti originariamente riportati alla luce, di molti si sono perse del tutto le tracce; la gran parte è finita in mano a collezionisti privati. Rimangono tuttavia molte fotografie che documentano la loro esistenza. Gli oggetti sembrano essere opera civiltà diverse, tra cui anche quella egizia. Non possiamo escludere, naturalmente, che si tratti di falsi: la loro abbondanza, però, farebbe propendere per l’autenticità di almeno una parte del materiale, la cui origine rimane però un mistero.

Egizi in Sud America

Anche nell’America del Sud incontriamo numerose tracce della presenza egizia. Addirittura la civiltà inca, che fiorì in Perù tra il XII e il XIV secolo, è stata definita “gemella” di quella egizia! Esistono, infatti, numerose corrispondenze tra le due culture (qui un ottimo articolo in merito). Ecco un breve elenco delle più significative:

  • In Egitto e in Perù si trovano costruzioni megalitiche edificate con tecniche simili, piramidi a gradoni, obelischi e altri edifici dagli stili architettonici simili;
  • Gli Incas praticavano la mummificazione: le mummie erano sepolte nelle piramidi, insieme ad oggetti e cibarie e con le braccia incrociate, come in Egitto;
  • Sia gli Egizi che gli Incas realizzavano sarcofagi e maschere funerarie in oro;
  • Sia gli Egizi che gli Incas costruivano imbarcazioni di canne dalla foggia molto simile;
  • Esistono motivi simili nell’arte egizia e in quella inca, in particolare per quanto riguarda la simbologia solare.
Alcune analogie tra l’arte e l’architettura inca e quella egizia. Da qui.

C’è anche un’altra scoperta, molto nota, che lega l’Egitto al Nuovo Mondo: il ritrovamento, in alcune mummie egizie, di tracce di cocaina, hashish e nicotina. La scoperta, pubblicata in questo studio del 1992, destò subito un grande scalpore tra la comunità scientifica: infatti, la cocaina e la nicotina derivano entrambe da piante americane! La spiegazione più logica era che gli Egizi avessero avuto contatti commerciali con le Americhe: guarda caso la cocaina si ricava da una pianta originaria del Perù, la culla della civiltà “gemella” di quella egizia. Furono proposte, tuttavia, varie spiegazioni alternative, come la contaminazione delle mummie, la formazione delle sostanze “incriminate” in seguito a decomposizione di altre sostanze, l’uso di tecniche improprie… Tutte queste ipotesi si sono rivelate però poco convincenti (trovate qui un’analisi approfondita).

Il Sud America, inoltre, è protagonista di una storia analoga a quelle che abbiamo raccontato poc’anzi a proposito del Nord America. Negli anni ’20 del Novecento giunse a Cuenca, in Ecuador, un missionario italiano, Carlo Crespi. Il sacerdote era un sant’uomo dai molteplici talenti ed interessi, e per questo divenne molto benvoluto dai locali, che nel corso degli anni gli consegnarono un gran numero di oggetti provenienti da una grotta nella foresta, ufficialmente la Cueva de los Tayos (ma forse anche altre). Padre Crespi raccolse i reperti in un museo; purtroppo nel corso degli anni, a seguito dell’incuria e dell’incendio dell’edificio, molti degli oggetti scomparvero.

Come nel caso dei manufatti delle Grotte di Burrows, anche tra gli oggetti raccolti da Padre Crespi potrebbero esserci dei falsi; ma anche in questo caso, l’abbondanza dei reperti (migliaia di pezzi), la loro varietà (statue, anfore, lamine metalliche, eccetera) e, soprattutto, i soggetti delle opere, farebbero propendere per l’autenticità della maggior parte di essi.

Padre Crespi riteneva che alcuni degli oggetti risalissero addirittura a prima del Diluvio Universale: effettivamente, alcuni dei reperti sembrano opera di una civiltà sconosciuta; altri, invece, sono straordinariamente somiglianti, se non identici, ad opere d’arte caratteristiche della civiltà sumero-babilonese o di quella egizia. Osservandole, si capisce quanto sia ardito attribuire tali impressionanti somiglianze a una semplice coincidenza; l’unica spiegazione plausibile sembra essere proprio un antico contatto tra Vecchio e Nuovo Mondo.

A sinistra, raffigurazione della dea egizia Hathor; a destra, uno dei reperti della collezione di Padre Carlo Crespi.

Egizi in Australia

Spostiamoci adesso in Australia, terra scoperta dagli europei solo nel XVII secolo e sconosciuta a tutte le civiltà antiche. O meglio, a quasi tutte: pare, infatti, che gli Egizi la conoscessero eccome.

Ciò si evince da una serie di ritrovamenti molto interessanti: tra questi, un posto di rilievo è occupato dai cosiddetti “geroglifici di Gosford”, scoperti negli anni ’70 a Kariong, una località vicina alla città australiana di Gosford, situata 50 km a nord di Sidney. I geroglifici (in tutto circa 300) sono incisi nella roccia e risalirebbero, secondo studiosi indipendenti, al periodo della IV dinastia (circa 2600-2500 a.C.). Secondo questo studio, la traduzione dei geroglifici rivela che in quel luogo fu sepolto nientemeno che un figlio del faraone Cheope, morso da un serpente velenoso nel corso della spedizione in Australia guidata da lui e dal fratello. Inutile dire, però, che la maggior parte degli archeologi bolla i geroglifici di Gosford come dei falsi: i loro autori sarebbero in realtà dei soldati appassionati di storia egiziana. Lascio giudicare al lettore la plausibilità di una spiegazione del genere…

Un’altra scoperta singolare è quella di una moneta egiziana rinvenuta nel 1912 nella foresta pluviale del Queensland e risalente al regno di Tolomeo IV (221-204 a.C.). La spiegazione ufficiale di questo ritrovamento è che la moneta sarebbe stata perduta da un minatore del XIX secolo che la portava con sé come souvenir. Come nel caso precedente, questa ipotesi non ha alcuna prova a sostegno; però, siccome “è impossibile” che gli Egizi siano arrivati in Australia, allora la spiegazione deve per forza essere un’altra. Anche qui, comunque, lascio giudicare al lettore quale sia l’ipotesi più plausibile.

Di estremo interesse è anche il fatto che in Australia fosse diffusa la pratica della mummificazione. Sebbene le tecniche australiane non fossero avanzate come quelle in uso presso gli Egizi, alcuni particolari sembrerebbero suggerire l’origine egiziana di tale pratica. Per esempio, è noto che gli Egizi dipingevano le mummie con ocra rossa e sostituivano i globi oculari con occhi artificiali, di pietra; queste usanze si diffusero a partire dalla XXI dinastia, ossia intorno al 1000 a.C. Ebbene, anche in Australia, e in particolare nelle isole dello Stretto di Torres, le mummie venivano dipinte di rosso ed avevano pietre o conchiglie che fungevano da occhi artificiali.

Come non citare poi il boomerang? Nonostante venga ritenuto un oggetto tipicamente australiano, anche gli Egizi lo conoscevano e lo usavano per la caccia. La diffusione del boomerang anche tra le popolazioni dravidiche del sud-est dell’India potrebbe indicare che la conoscenza di quest’arma fu propagata tramite la navigazione nell’Oceano Indiano. Come fatto notare in questo vecchio articolo, il boomerang australiano rappresenta il più alto grado di evoluzione di questo oggetto; di conseguenza, è possibile che gli aborigeni australiani lo ereditarono, perfezionandolo, da un altro popolo: forse proprio gli Egizi?

Una collezione di boomerang rinvenuti nella tomba di Tutankhamon. Da qui,

Egizi nelle Canarie, in Cina e in Polinesia

Rispetto alle Americhe o all’Australia, le Canarie non erano lontane dall’Egitto: se davvero gli Egizi giunsero in America, è probabile che abbiano fatto scalo anche in queste isole. E infatti i Guanci, i primi abitatori dell’arcipelago, condividevano con gli Egizi l’usanza della mummificazione, peraltro praticata in modo molto simile.

Può sembrare incredibile che gli Egizi siano arrivati anche in Cina. Eppure, questa ipotesi è stata avanzata da un importante scienziato cinese, il geochimico Sun Weidong: egli ha osservato infatti che gli antichi bronzi cinesi hanno caratteristiche isotopiche che rivelano un’origine africana. Secondo lui, sarebbero stati gli Hyksos (un popolo che regnò sull’Egitto tra il XVII e il XVI secolo a.C.) a introdurre nell’antica Cina la tecnologia dell’età del bronzo.

Troviamo segni di contatti con gli Egizi anche in Polinesia. A Tahiti, in pieno Oceano Pacifico, si veneravano il dio Horo, sovrano del mondo, e il dio-sole Raa, che ricordano rispettivamente gli dèi egizi Horus e Ra. Un altro interessante parallelismo tra le credenze polinesiane e quelle egizie è la distinzione tra l’anima e lo spirito, che i polinesiani chiamavano rispettivamente ko e bao, mentre gli Egizi ba e ka. È curioso, inoltre, che anche in Polinesia si praticasse la mummificazione.

Egizi in Nord Europa

Del legame tra il Nord Europa e la terra dei faraoni ci eravamo già occupati qui e qui, per cui non ci ripeteremo. Faremo però un breve sunto della teoria che avevamo proposto.

In tempi proto-storici, l’Egitto fu colonizzato da un popolo indoeuropeo, il quale si integrò in una civiltà che affondava le sue radici in epoche remotissime. Questi “Egizi” provenivano dal Nord Europa ed erano giunti nel Mediterraneo per via fluviale, facendo prima scalo sulle rive del Mar Nero, nella regione caucasica (una situazione analoga si sarebbe verificata in Mesopotamia con i Sumeri). Gli “Egizi nordici” mantennero comunque per molto tempo i contatti con la loro patria perduta, la favolosa “terra di Punt”, identificabile con la Lapponia.

Prima di proseguire, facciamo una piccola precisazione: la lingua egizia non viene classificata tra quelle indoeuropee. Sembrerebbe quindi scorretto definire indoeuropei gli “Egizi nordici”. Tuttavia, lo studioso italiano Andrea Portunato ha mostrato che è possibile leggere i geroglifici egizi usando il sanscrito: ciò lascia aperta la possibilità che anche gli Egizi appartenessero al grande gruppo etnico-linguistico degli Indoeuropei.

A questo punto potrebbe sorgere una domanda: da dove provenivano gli Egizi che raggiunsero le Americhe e l’Oceania? Dall’Egitto o dal Nord Europa? A mio avviso, la risposta è la prima: infatti, la civiltà che noi chiamiamo “egizia” nacque appunto in Egitto, non in Nord Europa; gli “Egizi nordici” si limitarono a integrarsi con questa civiltà, e di conseguenza non possono essere stati loro a lasciare nel mondo le tracce della civiltà egizia. È però certo, come già detto in articoli precedenti, che il corpus mitologico egizio si arricchì con molti racconti provenienti dal Nord Europa: pertanto non possiamo escludere (anche se io lo ritengo improbabile) che la presenza di miti egizi in altre parti del mondo sia dovuta a un contatto con lo stesso popolo indoeuropeo che giunse nella Valle del Nilo.

Ma quando ebbero luogo i viaggi degli Egizi? La risposta è: dipende. Ad esempio, gli oggetti raccolti da Padre Crespi, le similarità tra la civiltà inca e quella egizia e le tracce di cocaina e nicotina nelle mummie egiziane dimostrano che Egitto e Sud America erano “gemellati” fin da tempi antichissimi, quasi certamente anteriori al Diluvio; pertanto in questo caso i viaggi si svolsero sicuramente nel corso di molte epoche. I geroglifici mi’kmaq e le tecniche di mummificazione impiegate in Australia potrebbero risalire invece a viaggi più recenti, avvenuti in tempi storici.

È possibile quindi che quella egizia sia stata davvero una civiltà globale? Forse lo fu in epoche remote, pre-diluviane, quando probabilmente non si era ancora ben distinta da quella sumera (ciò spiegherebbe i reperti sia “egizi” che “sumeri” in Ecuador). Ma anche in seguito, l’Egitto fu certamente un centro dal quale la civiltà si diffuse in molte altre parti del globo, come sembra indicare anche il mito di Osiride, secondo cui il dio partì dall’Egitto per diffondere in tutto il mondo la civiltà. Sebbene gli aspetti da chiarire siano ancora molti, le scoperte che abbiamo mostrato rappresentano tessere preziose per lo studioso che in futuro vorrà ricomporre senza pregiudizi il mosaico della storia.

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